Il fratello: scelta la via più facile, l’assassino è fuori
Parla Abraham Diaw: «Lotterò per dimostrare la sua innocenza. Lui non è mai scappato»
«La mia battaglia comincia adesso. Non mi fermerò finché non uscirà fuori la verità. Farò vedere al mondo che non è stato mio fratello ad uccidere Ashley». Abraham Diaw, fratello maggiore del senegalese condannato per l’omicidio della giovane americana, crede fermamente all’innocenza del fratello e annuncia il ricorso contro la sentenza di condanna. «È stato un processo superficiale, è stata scelta la strada più facile. Le indagini non sono andate fino in fondo. L’assassino è ancora fuori».
È un fiume in piena il fratello di Cheik: «Perché il fidanzato di Ashley non è stato neppure indagato? Sul collo e sotto le unghie della ragazza è stato trovato il suo Dna eppure, in base alle ricostruzioni, erano quattro giorni che non vedeva Ashley». Poi ripete: «Questo processo è stato come una fiction. Gli avvocati sono già al lavoro per arrivare a una sentenza che racconti la verità».
Abraham, che lavora come pr nelle discoteche di Firenze, è stato presente a quasi tutte le udienze nell’aula bunker. E al termine di un’udienza è anche andato dal pm Giovanni Solinas a stringergli la mano e a dirgli che non è suo fratello l’assassino di Ashley.
«Sono davvero convinto che non sia lui», racconta spiegando di aver titubato inizialmente riguardo alla presunzione d’innocenza del fratello: «Ho consigliato a Cheik di fare il rito abbreviato per ottenere uno sconto di pena, ma lui ha ripetuto di essere innocente e così non ha voluto il rito abbreviato».
È quasi un anno che Cheik si trova a Sollicciano. «Gli ho portato cd musicali, soldi e vestiti. Passa il tempo in palestra, giocando a calcio e ascoltando la musica. Prega spesso. Lo incontro due o tre volte al mese. Qualche volta si è messo a piangere. Spera che i giudici facciano luce su quello che è veramente successo quella notte». Poi aggiunge: «Non è facile vivere col fratello minore in carcere, ma sono sicuro che è innocente e lotterò per dimostrarlo». Anche perché, conclude Abraham, «mio fratello, convinto della sua innocenza, non ha mai tentato di scappare. Quella mattina venne volontariamente con me alla polizia perché era convinto che la sua testimonianza potesse essere utile per trovare la verità».