Sì, è tornato il numero 10
Il personaggio Due gol, un assist e quella corsa sotto la curva Fiesole: Bernardeschi è il nuovo idolo viola Dopo Antognoni, Baggio e Rui Costa, Firenze ritrova una stella. Che ora aspetta rinnovo e fascia da capitano
La galoppata con la palla al piede, la testa alta, il gran sinistro e il gol. Basta un attimo per ricominciare a sognare. In quell’azione da numero 10 c’è tutto quello che il tifoso viola può desiderare: classe, personalità, caparbietà, attaccamento alla maglia. L’ex ragazzo tutto ciuffo cresciuto a pane e pallone nel settore giovanile viola, adesso luccica di luce propria. E partita dopo partita sta diventando il vero capitano della Fiorentina. Fede Bernardeschi segna e trascina, insegue avversari e spacca le partite. Come a Cagliari, a Empoli e come giovedì scorso contro il Napoli, nella partita che più di ogni altra l’ha incoronato uomo squadra. Lui d’altra parte è fatto così: anche in Primavera capitava che dopo un gol subito prendesse la palla sotto braccio e ai compagni dicesse «ora tocca a me». Che avesse fegato si era capito già da tempo, ma adesso la sua crescita è esponenziale: a Roma ha preso la squadra per mano (Marchetti su di lui ha fatto un mezzo miracolo) e l’ha portata fino ad assaporare il gusto dolce della rimonta e nel secondo tempo contro Sarri ha messo in ginocchio mezzo Napoli. Il complimento più bello a fine partita gliel’ha fatto proprio il mister azzurro. Uno che di talento se ne intende e che i peli sulla lingua non sa neanche cosa siano: «Ha fatto una partita straordinaria — ha detto in tv — e ha una qualità tipica dei grandi giocatori: una coordinazione eccezionale. Ha ragione Sousa, è difficile trattenere talenti così». Parole perfette per descrivere cos’è oggi Bernardeschi, trequartista atipico dalla corsa potente come quella di un puledro nella prateria e dal tiro tagliente per qualunque portiere. Berna sta sbocciando e la Fiorentina, anni e anni dopo l’inimitabile Antognoni, il fantastico Baggio e il geniale Rui Costa, ha ritrovato il suo numero 10. E forse il suo capitan futuro.
Di sicuro Berna ha tutto per portare la fascia viola al braccio, perché alla leadership unisce quel senso di appartenenza che i Della Valle inseguono da tempo e con fatica, visto che la squadra è zeppa di stranieri. Lui invece è toscano, ha il viola nel cuore e gioca nella Fiorentina da quando aveva poco più di dieci anni. È giovane? Certo, lo è. Ma anche Antognoni aveva 22 anni quando venne promosso capitano da Mazzone. Di Antonio Berna non ha la visione di gioco ma ha il suo essere uomosquadra, l’attaccamento ai colori e quel passato sulla fascia, se è vero che Giancarlo iniziò la carriera da ala destra. E visto che parliamo di numeri 10, Roby Baggio, come Berna, andò a vivere da solo quando ancora era giovanissimo. Per inseguire il sogno di diventare campione e diventare uomo il più in fretta possibile. Federico ha lasciato i suoi genitori a 16 anni. Una scelta dolorosa per chi, come lui, è attaccatissimo alla famiglia e a certi riti (domenica mattina porterà sua mamma alla messa, come ogni anno a Natale), ma che adesso sta pagando in termini di maturazione e consapevolezza. Il pane duro mangiato in Nazionale e il grave infortunio alla gamba di due anni fa, sono stati altri due scalini fondamentali per la sua crescita. Star fuori ai tempi di Montella è stata dura, ancora di più con una riabilitazione durata 5 mesi. In azzurro poi finora c’è stata gloria (la convocazione all’Europeo), ma anche tanta panchina, fino a quella partita sbagliata in Azerbaijan dell’ottobre scorso. Peccati di gioventù che aiutano a migliorare, come la reprimenda pubblica di Sousa («È confuso dentro e fuori dal campo»), che lì per lì lasciò di stucco ma che ha una sua logica. Dopo l’estate azzurra e le poche vacanze, Federico aveva le pile scariche e ha avuto bisogno di tempo per tornare il solito, determinatissimo, attaccante a tutto campo. Già, perché il lavoro di Sousa ha portato Fede a essere libero di agire ovunque preferisca. Un po’ esterno sinistro, un po’ trequartista, spesso seconda punta. Il calcio del «10» è senza vincoli, anche se quell’anno passato a fare il terzino gli ha messo in testa un senso tattico da giocatore moderno. Certo, qualche difettuccio c’è ancora. Fede porta troppo palla e si incaponisce nei dribbling, anche quando si trova (come contro il Genoa) in una posizione dove perdere il pallone significa mandare in gol gli avversari. Certe scelte poi, spesso legate alla voglia di strafare, non risultano il massimo della vita, soprattutto se un compagno aspetta il passaggio giusto per calciare in porta. L’assist, l’arma che ha fatto innamorare i fiorentini di Rui Costa, fa parte del suo Dna (chiedere a Zarate per conferma), basterebbe solo provarlo più spesso. Lacune che comunque diventano minuscole rispetto alla bellezza dei suoi gol (già 10, come il numero di maglia) e agli applausi che gli dedica il Franchi. Per diventare idolo, Berna adesso deve fare una scelta. Definitiva, difficile, ma allo stesso tempo stimolante: legarsi alla Fiorentina.
Con clausola o senza clausola («Sono orgoglioso di giocare qui — ha detto lui stesso — con la società abbiamo già parlato del mio rinnovo e ne riparleremo»), con un aumento di stipendio meritato ma allo stesso con il desiderio di mettere radici. Con il numero 10 sulle spalle, la fascia di capitano, l’amico Chiesa in campo con lui e con la curva Fiesole pronta ad abbracciarlo ogni volta che il suo sinistro farà magie. Fede si è preso un po’ di tempo per chiudere la trattativa, intanto si godrà il Natale tra le coccole della sua Veronica, l’affetto di papà e mamma e l’immancabile tombola la sorella Gaia. Ad anno nuovo invece il «10» avrà altre sfide da vincere. La Fiorentina è indietro in classifica. Serve uno che la prenda per mano e la trascini in Europa.