Corriere Fiorentino

Il vescovo guerriero e una zuppa che dà forza

- Divina Vitale

Una zuppa di pollo e un vescovo, due destini che si incrociano da secoli. Guido Tarlati, eletto da Clemente V, proveniva da una delle più facoltose famiglie aretine del ‘300, aveva feudo e castello a Pietramala, in Anghiari. Ghibellino, signore di Arezzo, era a capo della fazione dei Secchi, rivale dei Verdi e tanto era lo spirito combattivo che lo contraddis­tingueva da celebrare la messa con l’elmo e lo scudo sopra l’altare.

Si racconta fosse anche un abile cuoco tanto che gli viene attribuita la paternità della zuppa di pollo, a lui a posteriori intitolata. Sono tante le voci che si rincorrono sulla genesi della minestra ma tra le più accreditat­e c’è quella che lui stesso l’abbia condotta ad un incontro diplomatic­o, in Francia, con Papa Giovanni XII (che tentava in ogni modo di convertirl­o dalla parte dei Guelfi e frenarne l’indole guerresca), ad Avignone per la precisione. Oppure che lo stesso vescovo l’abbia assaggiata in Francia e poi riproposta in Toscana. Molto simile alla famosa «soupe à la reine» è rimasto fino ad oggi l’arcano sull’attribuzio­ne della sua origine ma è comunque celebrata: ne è nato persino il «Premio Tarlati» (istituito nel 1991 con cadenza biennale) con l’intento di rendere omaggio a chi contribuis­ce a promuovere la cucina tipica della terra aretina in Italia e nel mondo.

L’ingredient­e principale è il pollo (ma oggi vengono usati anche la gallina o la fagianella) sia per il brodo sia come carne da gustare nella pietanza. Molti i ristoranti che ancora la cucinano come «La Pieve». Racportare conta la chef e titolare Donatella Neri: «Oltre a quelle ufficiali ci sono altre storie che vogliono questo piatto nascere tra le mura dall’abbazia di San Bartolomeo, dalle sapienti mani delle monache che la abitavano, amiche di un prevosto esperto culinario di Anghiari, ben riconducib­ile proprio a Tarlati. E ancora che fu Caterina de’ Medici più tardi a questa zuppa oltralpe mentre si apprestava a diventare la regina di Francia con lo stuolo di cuochi e servitori al seguito. Quel che è certo è che in Francia la zuppa è arrivata e probabilme­nte proprio là ha subito delle modifiche con l’aggiunta di panna e di una sorta di besciamell­a».

«Prima ancora che venissi a conoscenza delle sue nobili origini — continua la chef — posso dire di averla mangiata una infinità di volte, specialmen­te dopo i postumi di un’influenza: mia mamma me la preparava perché sosteneva che avesse delle proprietà corroboran­ti. Cucinata in maniera semplice era in effetti efficace e anch’io l’ho data alle mie figlie con l’aggiunta di un tuorlo d’uovo. Nelle nostre campagne è un modo per riciclare il pollo o il cappone avanzato durante la preparazio­ne del brodo». «Il pollo — spiegano lo chef Leonardo De Candia con la titolare del ristorante “La Lancia D’oro” Marzia Burroni — va cotto in acqua e odori dopo averlo insaporito e riempito con un sacchetto di garza, al cui interno si mettono spezie varie, eccetto la cannella, che si aggiunge, spolverata, alla fine. Una volta pronto va tolto dal brodo e disossato, poi si taglia il petto a filetti mentre il resto della carne si fa insaporire in un soffritto. Quest’ultima va pestata nel mortaio, come vuole la tradizione, e mescolata col brodo per comporre il fondo su cui si adageranno i filetti e i crostini di pane, talvolta anche fritti». Il presidente dell’Associazio­ne cuochi di Arezzo, Gianluca Drago aggiunge come il piatto sia un must tra gli chef aretini e ogni anno, durante il premio, venga servito al momento dell’annuncio del vincitore. «L’invenzione è attribuita sì ad un vescovo ma prima di tutto era un “combattent­e”. Tra gli aneddoti si racconta anche che la faceva preparare per i suoi soldati, per dargli forza e vigore nei vari scontri. Inoltre, al tempo, mangiare la carne era considerat­o un lusso. Però poi il piatto si è diffuso anche nelle campagne e veniva fatto con gli avanzi del pollame, nella ricetta originaria comunque la carne usata è il pollo poi per le rivisitazi­oni si possono aggiungere spezie come i chiodi di garofano, la cannella o odori come l’alloro, nel soffritto. E c’è anche chi compone una crema alternativ­a al classico brodo lavorando la panna con la farina. L’importante però è non tritare il pollo col mixer: la carne va rigorosame­nte lavorata a mano».

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 ??  ?? Donatella Neri, chef e titolare de «La Pieve»
Donatella Neri, chef e titolare de «La Pieve»
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Marzia Burroni, «La lancia d’oro»

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