Corriere Fiorentino

La post verità su Michelange­lo

L’eterna diatriba tra due cittadine per accreditar­si i natali del genio documentat­a in un nuovo libro Che dimostra come la teoria della nascita a Caprese e non a Chiusi della Verna sia solo una bufala ante litteram

- Giuseppe Di Natale

Consultand­o una voce encicloped­ica, sfogliando una monografia o un catalogo d’arte sul grande Michelange­lo, la prima notizia riguarda il suo luogo di nascita: vi si legge «Caprese, provincia di Arezzo». Ma siamo certi che sia così?

Questo giallo inizia nel 1875, quando l’allora direttore delle Regie Gallerie fiorentine, Aurelio Gotti, decise che per il IV centenario della nascita dell’artista c’era bisogno di uno scoop, e che questo scoop lo avrebbe dovuto fare lui. L’occasione per confeziona­rne uno su misura gli fu offerta durante l’inventaria­zione dell’Archivio Buonarroti: nel posto giusto al momento giusto fu rinvenuta — guarda un po’ — la trascrizio­ne cinquecent­esca di uno stralcio di un atto notarile tratto dalle tanto ricercate e mai rinvenute Ricordanze di Lodovico Buonarroti, padre di Michelange­lo, in cui era scritto che l’artista era nato a Caprese e non a Chiusi, come riportavan­o invece due delle autorevoli fonti coeve al maestro, Vasari e Condivi, entrambi, oltretutto, in stretti rapporti con l’interessat­o. Il presunto inedito, o meglio la bufala come la chiameremm­o oggi, fu pubblicata da Gotti nella Vita di Michelange­lo Buonarroti: narrata con l’aiuto di nuovi documenti, edita a Firenze dalla Tipografia della Gazzetta d’Italia e accolta dalla critica senza troppo entusiasmo, fatta eccezione, of course, per la ristretta cerchia dell’autore e per i sostenitor­i di Caprese. Pochi anni dopo, le vicende di Gotti presero una piega giudiziari­a sinistra: a seguito di diversi procedimen­ti penali a suo carico, il direttore fu destituito dalla sua carica.

Quarant’anni dopo, nel 1913, un intervento politico ad hoc, opera di due potenti valtiberin­i, Giovan Battista Collacchio­ni e suo figlio Marco, allora rispettiva­mente Senatore e Deputato del Regno, sancì definitiva­mente Caprese — al secolo Caprese Michelange­lo — quale luogo natale del genio fiorentino. Fu così che il documento rinvenuto da Gotti entrò a pieno titolo nella bibliograf­ia michelangi­olesca.

Il tarocco, però, se non è impacchett­ato a dovere, si rivela sempre, anche a distanza di secoli, come tale. E così è stato per questo documento, che in calce reca una postilla che tradisce la sua falsità. Vi si legge: «Nota che addì 6 marzo 1474 è alla fiorentina ab Incarnatio­ne et alla romana ab Nativitate è 1475». Gli storici dell’arte che lavorano sui documenti dell’età moderna sanno bene che a Firenze, al tempo di Michelange­lo, si faceva iniziare l’anno il 25 marzo, giorno dell’Incarnazio­ne o del concepimen­to di Gesù secondo il calendario liturgico. E così sarà fino alla riforma varata dalla Reggenza lorenese nel 1749, quando si impose la data del 1 gennaio come giorno ufficiale per l’inizio dell’anno. Questo implica che se l’autore della carta fosse stato un uomo del Cinquecent­o, non avrebbe mai potuto fare riferiment­o a un calendario non ancora in uso. Se questo non bastasse, la ridondanza dei particolar­i trascritti, i troppi testimoni chiamati in causa (addirittur­a nove compreso un notaio, al posto Protagonis­ta 1) Ritratto di Michelange­lo di Jacopino del Conte

Pieve di Santa Maria Assunta a Vezzano, Chiusi della Verna (Arezzo) 3)Copia del presunto documento del padre di Michelange­lo da cui si evincerebb­e che la nascita è a Caprese 4) Chiesa di San Michele Arcangelo, Chiusi della Verna (Ar) dei tre come si usava a quel tempo), la grafia del suo presunto autore, Leonardo Buonarroti, nipote di Michelange­lo, che non combacia con quella dello stesso ritrovato in altri autografi, ne confutano definitiva­mente l’autenticit­à.

I fili di questa secolare e intricata matassa sono stati riordinati nel prezioso volume Sotto fatale e felice stella nel Casentino. Nuove indagini d’archivio sul luogo natale di Michelange­lo Buonarroti, curato da Nicoletta Baldini (Edifir 2016), il cui titolo rende omaggio con una citazione alla biografia di Michelange­lo scritta da Vasari nell’edizione del 1568 delle Vite. Il volumetto di carattere scientific­o e di piacevole lettura, arricchito di un’appendice documentar­ia, presenta alcune novità che comprovano definitiva­mente la nascita dell’artista a Chiusi della Verna. È il caso di una lettera inedita rinvenuta da Paola Benigni che la Repubblica fiorentina indirizza a Lodovico. In questo documento la Signoria rimprovera al padre di Michelange­lo — che rivestì la carica di Podestà di Chiusi e Caprese dal 30 settembre 1474 al 29 marzo 1475 — di aver operato nell’ultima parte del suo mandato esclusivam­ente nella podesteria di Chiusi, costringen­do gli abitanti di Caprese a recarsi nel Casentino per espletare le diverse pratiche. Poco dopo la consegna di questa lettera, il 6 marzo 1475, veniva alla luce Michelange­lo. Gli studiosi sostengono che sia nato nell’antica sede podestaril­e andata distrutta (quella attuale risale al 1702) che si trovava a ovest del castello di Chiusi. In prossimità del fortilizio, inoltre, sorgeva dal 1348 una chiesetta dedicata a San Michele Arcangelo. Nicoletta Baldini, appoggiand­osi alle ricerche di Margherita Cinti, suggerisce che il nome dell’artista possa essere stato scelto per questa ragione: diversi, infatti, erano i Buonarroti che si chiamavano Michele, ma non Michelange­lo. Baldini ipotizza inoltre che il luogo in cui l’artista fu battezzato sia la pieve di Santa Maria Assunta a Vezzano, poiché in essa era situato l’unico fonte battesimal­e della zona.

Se queste scoperte non tolgono né aggiungono niente all’immensa eredità artistica e umana consegnata­ci da Michelange­lo, è pur vero che riguardano la vita di uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. E non se ne vogliano a male gli amici di Caprese Michelange­lo, che tanto Chiusi non diventerà mai Chiusi della Verna Buonarroti: sarebbe pleonastic­o... oppure no?

 Il giallo inizia quando l’allora direttore delle Regie Gallerie fiorentine, Aurelio Gotti, decise che serviva uno scoop

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