LA TOSCANA SENZA ZOCCOLI
C’è stato un tempo in cui per capire come la Toscana avrebbe votato non occorrevano sondaggi. Bastava disegnare una cartina rossa con una pennellata di bianco su Lucca: lo zoccolo duro della sinistra e la tradizione Dc in Lucchesia. Ma nella seconda repubblica, a partire dai primi anni Novanta, studiosi come Paul Ginsborg e Ilvo Diamanti hanno messo in guardia la sinistra toscana da un eccesso di sicurezza elettorale perché lo zoccolo duro iniziava a erodersi. Non a caso il centrodestra ha iniziato a conquistare città storicamente rosse come Grosseto, Arezzo e Prato. Fino allo schiaffo del 2013 quando il M5S ha mandato all’opposizione la sinistra nella sua città simbolo: Livorno, la culla del Pci.
Dal nostro viaggio nelle città capoluogo che in primavera andranno al voto — Lucca, Carrara e Pistoia — è emerso con chiarezza che l’erosione dello zoccolo rosso è destinato a continuare: in tutte e tre le città il Pd non è sicuro di vincere in partenza. Rischia. Dove più e dove meno.
La partita elettorale si annuncia incerta. Per le divisioni e lacerazioni all’interno del Pd, ma soprattutto per i mutamenti sociali e economici. La Toscana di oggi non è più quella di ieri. È entrato in crisi il modello economico basato sul manifatturiero e sulle città-fabbrica. Dopo i mezzadri, linfa vitale delle campagne rosse del secondo dopoguerra, stanno venendo meno anche i Cipputi, gli operai.
Lungo la costa, da Carrara a Massa fino a Livorno,hanno chiuso le grandi aziende statali.
Pistoia, che nel 2007 si trovava nei bassifondi delle classifiche economiche della regione, ha ripreso un certo respiro economico grazie al passaggio della Breda nelle mani della giapponese Hitachi Rail (quasi 2mila addetti) e Piombino affida le sue speranze di rilancio nei piani, peraltro incerti, dell’algerino Issad Rebrab, lo «Zidane dell’industria», come lo chiamano in patria, che con Cevital ha acquisito le Acciaierie. Anche i distretti non godono buonissima salute. Quello del marmo a Carrara registra la crisi delle aziende artigiane che lo lavoravano i blocchi estratti dalle Apuane. I proprietari delle cave oggi preferiscono vendere il marmo a indiani, cinesi e arabi, che pagano cash e poi se lo lavorano in patria. La filiera produttiva si è fortemente ridotta: secondo la Cgil solo il 30% del marmo estratto viene lavorato a Carrara. Regge invece il cartario a Lucca (30% dell’economia lucchese) ma è in forte crisi il vivaismo a Pistoia.