IL RISIKO, IL SUO LEADER (UN COPIONE LOGORO)
E che grazie alle emergenze — dal 1989, anno di nascita del Movimento di lotta per la casa, a oggi — si è conquistato un ruolo, un peso e perfino un’autorevolezza riconosciuta. È pensabile che i somali siano andati di loro iniziativa a occupare Palazzo Strozzi, dov’è in corso la mostra su migranti e dissidenza di Ai Weiwei? O che sapessero di quell’immobile dei Gesuiti libero e pronto per essere occupato? E chi può davvero credere che i somali sapessero che i Gesuiti — lo stesso ordine di Papa Francesco, che da mesi chiede di aprire confini e porte ai migranti— non avrebbero mai potuto chiedere lo sgombero del loro palazzo? Un’occupazione che sembra una provocazione politica alla politica. Dietro alla quale non è difficile scorgere una regìa, un pifferaio che ha portato fuori dal palazzetto di Sesto 90 persone per condurle nel viale Don Minzoni. E che dal primo giorno, subito dopo il rogo nell’ex capannone Aiazzone di Sesto, ha spinto il gruppo dei somali a non farsi dividere. Il motivo è facilmente immaginabile: 90 persone che ti seguono danno forza, ti consentono di assediare una prefettura, di mostrare i muscoli se serve e poi di trattare. E anche di far saltare il tavolo. Copioni giù sperimentati. Ma forse, questa volta, in quel rogo è andato in fiamme anche lo schema occupazionisgombero-rioccupazioni. Un imprevisto —l’incendio— ha interrotto il gioco, riportando alla ribalta il ruolo di Lorenzo Bargellini. Un ruolo che lui si è preso sul campo, approfittando della timidezza delle istituzioni che — triste peculiarità italiana — scattano nell’emergenza, ma senza poi saperla governare con una visione di ampio respiro.
E allora è il caso di fare qualche domanda: il Movimento di lotta per la Casa perché ha spinto i somali a non dividersi invece di sollecitare un nuovo percorso di integrazione? Si è temuto di perdere un elemento importante di quel risiko che consente di tenere continuamente sotto scacco Comune, Regione e forze dell’ordine? Non nascondiamoci la verità: Bargellini è diventato il punto di riferimento dei senza casa italiani e migranti. È con Bargellini che a Firenze bisogna trattare prima, durante e dopo uno sgombero. Così è sempre stato e a questo stato delle cose si sono sempre rassegnate le istituzioni. Nel 2008 il Corriere Fiorentino era in edicola da pochi giorni quando pubblicò il primo di una serie (lunga) di articoli sulle occupazioni. Quella volta si parlava dei 200 migranti che dall’ex ospedale Luzzi di Sesto si erano spostati nell’ex caserma Donati, sempre a Sesto. Copyright Lorenzo Bargellini, che rivelava: «È un’azione concordata con le istituzioni, la Regione ci aveva chiesto di alleggerire il numero degli occupanti nell’ex ospedale Luzzi». Era solo un anello di una catena di emergenze affidate — in modo più o meno esplicito — a un leader che da sempre vive sul filo dell’illegalità (si fa vanto di aver collezionato oltre 100 denunce in carriera e qualche condanna) e che non ha nessuna intenzione di abdicare al suo ruolo, come dimostra la storia dei somali di Sesto. Non a caso loro lo hanno eletto da tempo «capo», come raccontava la nostra Antonella Mollica sul giornale di mercoledì scorso. Ma Bargellini sta facendo gli interessi dei somali o i suoi? Forse questa domanda dovrebbero cominciare a farsela anche le autorità competenti: rotto il giochino, forse ora serve altro. Anche un orizzonte chiaro verso cui incamminarsi. Vogliamo difendere il modello toscano dell’accoglienza diffusa? Allora diamogli corpo e gambe, con progetti e risorse per l’integrazione. Altrimenti resteranno solo le gambe di chi cammina sul filo dell’illegalità. Forse è arrivata l’ora di cambiare copione.