Corriere Fiorentino

«Macché Cina, qui a Firenze mi sento a casa»

- Poesio

L’attaccante al «Corriere Fiorentino» dopo il no alla maxi offerta dei cinesi «Voglio stare nel calcio che conta, qui mi sento a casa. E non valgo 50 milioni»

Nikola Kalinic si presenta quasi in punta di piedi nella sede del Corriere Fiorentino dove per la prima volta ha scelto di spiegare il suo No alla cascata di denaro della Cina. Mister cinquanta milioni (tanto avrebbe incassato la Fiorentina dalla sua cessione) sembra quasi sorpreso di aver generato tanto stupore e curiosità. Perché nel calcio di plastica dei nostri giorni, il suo gran rifiuto equivale a merce rara, la dimostrazi­one che non tutto può essere comprato a suon di dollari o, in questo caso, di Yuan. Non l’ambizione per esempio. Quella di un giocatore arrivato tardi sul grande palcosceni­co e per nulla intenziona­to a tornare dietro le quinte, anche se decisament­e dorate.

Eppure il clamore suscitato nel lungo mese di mercato non l’ha cambiato. Sarà perché forse nemmeno si rende conto di essere una perla rara nel mare agitato dei calciatori superstar: «Ma io non voglio giudicare gli altri, ognuno decide per sé», si schernisce come se rinunciare a una valanga di soldi fosse facile come bere un bicchier d’acqua (qualsiasi altra bibita è bandita nella sua ferrea dieta) oppure spingere per le vie del centro il passeggino del suo piccolo Mateo. Potrebbe perfino passare inosservat­o, l’attaccante della Fiorentina, e chissà che non sia grazie a questo che in campo riesce a scomparire all’improvviso per poi rispuntare dal nulla, sorprender­e i difensori, buttare la palla in rete.

Nikola Kalinic è sostanza, e tutto il resto non gli interessa granché. Ha il sorriso schivo e gentile, e quel velo di tristezza di chi arriva dall’Est, di chi è nato jugoslavo (classe 1988) e si è ritrovato croato a suon di bombe a soli sette anni. Troppo piccolo, forse, per capire, troppo grande per non ricordare il rumore delle armi. Ci ha pensato il pallone a portarlo lontano, quando aveva 21 anni. È partito per il nord dell’Inghilterr­a, destinazio­ne Blackburn, una squadra che però preferiva «lanci lunghi e un gioco per niente offensivo, quindi decisament­e poco adatto a me». Sette gol in tutto in due anni, troppo pochi ovunque,

Così ha perso 10 kg Nikola: 188 di altezza, 75 chili, forma perfetta La sua dieta? Colazione con cereali bagnati con l’acqua e un caffé; pranzo con pasta in bianco o col pesce; cena con pesce e verdure E mai zucchero, latticini, pane e dolci

figuriamoc­i per convincere l’esigente Premier League a scommetter­e ancora su di lui. Eppure Kalinic non sembra portare rancore. Il campionato inglese, anzi, resta nei suoi pensieri quasi fosse un conto in sospeso da saldare a modo suo, quando sarà sicuro che sia arrivato il momento giusto. «È il campionato che guardo oltre a tutte le partite della serie A». Magari riuscirà a tornarci, e in fondo è anche per questo che ha deciso di rinunciare agli oltre dieci milioni l’anno offerti dai cinesi. «Con loro sarebbe bastato un mio sì anche se non so che cosa avrebbe risposto la Fiorentina. Ma io volevo restare nel calcio europeo, giocare grandi partite, contro grandi giocatori», dice ad Alessandro Bocci nell’intervista che il Corriere della Sera pubblica oggi.

Ambizione legittima per chi, dopo l’esperienza britannica e l’approdo nel campionato ucraino, era convinto di essersi giocato la sua ultima chance. «Me la sono vista brutta, per questo quando è arrivata la chiamata della Fiorentina non ci ho pensato un attimo». E allora di nuovo in volo verso ovest, stavolta per indossare la maglia viola e il numero 9 di Batistuta («Ma di Batistuta ce n’è uno solo»), le difficoltà iniziali e poi la tripletta a Milano contro l’Inter «che è il momento di svolta da quando sono a Firenze». Già, il 28 settembre del 2015, i viola battono l’Inter e l’agganciano in testa alla classifica. A Campo di Marte un migliaio di persone accolgono la squadra di ritorno da San Siro. Per Nikola è la prima serata da eroe e per lui, l’antidivo per eccellenza, sembra quasi un paradosso. E così le fotografie di quella sera lo vedono intento a farsi largo tra i tifosi, incredulo davanti a quegli sconosciut­i che non aspettano altro che fotografar­lo e abbracciar­lo mentre lui, con il beauty case di Louis Vitton sotto braccio, sembra quasi trovarsi lì per caso.

E invece no. Perché per uno che non ha avuto la fortuna di nascere con le giocate brasiliane

nel proprio repertorio, che non sfodera tatuaggi o creste colorate modello pavone, per farsi notare in questo calcio sempre più devoto al culto dell’immagine non c’è altra via che la costanza, il sudore, la dedizione, e il carattere di ferro. Mica è facile, tanto per fare un esempio, eliminare di colpo dalla propria giornata qualsiasi latticino, ogni granello di zucchero e a bandire i dolci dal proprio menù. Oppure sedersi a colazione davanti a una bella tazza di cereali bagnati con l’acqua. «Devo dire che all’inizio è stata dura, poi però mi sono abituato e ho perso 10 chili in due anni».

Un po’ estremo forse, ma è anche così che si può costruire una storia di successo e magari trasformar­la in favola, giorno dopo giorno. E forse, così, è più facile comprender­e come sia riuscito a non vacillare davanti a quell’offerta cinese arrivata di colpo sul suo tavolo. Non era per rifugiarsi in una pensione dorata a 30 anni che aveva lavorato duro, non avrebbe avuto senso salutare tutti proprio adesso che è diventato uno dei giocatori più ambiti della serie A e che da quando è arrivato a Firenze due anni fa sta vivendo il momento migliore della sua carriera. «Ma io non credo di valere 50 milioni, sono troppi», sorride quasi incredulo ripensando a quella clausola che «in realtà ha voluto mettere la società. A me andava bene, ma non me ne sono occupato direttamen­te». Perché sedersi a un tavolo non è proprio il suo sport preferito. «A quello ci pensa il manager». E così Nikola ha tutto il tempo di concentrar­si sul campo e sul pallone che resta, anche quando è nella sua casa del centro, la sua grande passione da trasmetter­e anche al figlio di 3 anni Mateo. «Con quel mancino si dà già da fare», assicura con un misto di orgoglio e tenerezza. In fondo anche la famiglia ha pesato e non poco sulla sua decisione di restare qui. «Mia moglie Vanja ha detto la sua», «Beh Kalinic, il fatto di vederla ancora qui tra noi però non lascia dubbi su quale sia stato il suo consiglio…». Lui si scioglie (finalmente) in una risata di conferma, consapevol­e che passare dalle lunghe «passeggiat­e nel centro di Firenze» a quelle nel distretto industrial­e di Tianjin non sarebbe stata proprio la stessa cosa.

«Mi piace camminare o andare in bicicletta con mia moglie e mio figlio, ma posti preferiti non ne ho e con l’italiano ancora me la cavo così così, con tutti gli slavi che ci sono nello spogliatoi­o finisce che parlo sempre la mia lingua», racconta. E anche ora che con il suo rifiuto alla Cina ha rinvigorit­o l’orgoglio (mai sopito) dei fiorentini e che è quasi scontato trovare qualcuno per strada pronto a chiedere un autografo o essere fermato ovunque per un famigerato e immancabil­e selfie, non ha intenzione di cambiare le sue abitudini. Anzi. «Mi piace molto il rapporto che ho con i fiorentini. È bello e io in questa città mi sento a casa».

Poco male allora che il famoso cappuccino con tanto di cuore disegnato sopra con la scritta «Viola» in bella mostra, postato su Instagram proprio nei giorni in cui tutta Firenze era ormai convinta di aver perso il suo miglior attaccante in realtà «fosse stata l’idea di un mio amico barista in Croazia». Il senso, insomma, resta lo stesso, così come la realtà che racconta di Kalinic come attaccante della Fiorentina anche in futuro. «Ho un contratto di altri due anni quindi…». Certo, magari senza Sousa («un allenatore importanti­ssimo per me a cui devo tutto, mi ha fatto rinascere») le cose potrebbero pure cambiare. Sicurament­e non adesso però che ancora c’è da concludere la stagione, magari provando a puntare tutto sull’avventura in Europa League, che significa la possibilit­à di confrontar­si con le migliori squadre dei principali campionato continenta­li.

Stimoli, insomma, per uno come Nikola che sembra trovare forza proprio nel mettere sempre alla prova se stesso con nuove sfide non esistono altri modi di vedere il calcio e la vita profession­ale. Anche a questo dovrà pensare in futuro la Fiorentina, che dal rifiuto di Kalinic alla Cina, ha l’occasione di rilanciare la propria posizione nel calcio italiano ed europeo. Lo sa bene anche Andrea Della Valle che «mi ha chiamato quando ho scelto di rimanere qui, mi ha fatto piacere anche perché fino ad allora nessuno della società mi aveva fatto pressioni». Quelle che invece in campo non mancherann­o nel tentativo di risollevar­e la stagione della Fiorentina, il club verso cui questo ragazzo croato dai lineamenti spigolosi sente quasi un debito di riconoscen­za. Cosa rara (e per questo assai preziosa) nel calcio di oggi, ma non introvabil­e. Basta cercare bene, magari arrivare fino a Salona, poco più di 14 mila abitanti, in Croazia. La casa dove Kalinic è nato e cresciuto, prima di ritrovarla anche a Firenze.

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Nikola Kalinic nella redazione del «Corriere Fiorentino» durante l’incontro con la redazione
 ??  ?? L’attaccante della Fiorentina mentre autografa la sua maglia davanti al direttore del «Corriere Fiorentino» Paolo Ermini Sullo sfondo Indro Montanelli fotografat­o alla sua macchina da scrivere
L’attaccante della Fiorentina mentre autografa la sua maglia davanti al direttore del «Corriere Fiorentino» Paolo Ermini Sullo sfondo Indro Montanelli fotografat­o alla sua macchina da scrivere
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