Corriere Fiorentino

Matrimoni falsi, ma con soldi veri (per il permesso di soggiorno)

Quattro arresti a Lucca e Prato, denunciate 9 finte spose. Fino a 30 mila euro per le nozze

- Simone Dinelli

LUCCA I matrimoni erano finti, ma per un «sì» servivano soldi veri. E tanti, fino a 30 mila euro. L’obiettivo della messa in scena? Permettere a profughi kosovari di ottenere il permesso di soggiorno in Italia, base di partenza per la maggior parte di loro per poi trasferirs­i in Svizzera e iniziare una nuova vita.

Ma gli agenti e gli investigat­ori della squadra mobile di Lucca hanno scoperto tutto e al termine di una lunga indagine hanno sgominato un’organizzaz­ione criminale con l’accusa di associazio­ne a delinquere finalizzat­a al favoreggia­mento dell’immigrazio­ne clandestin­a. Quattro in carcere, più 9 donne denunciate per essersi prestate — dietro compenso — alle false nozze. L’operazione «Promessi sposi» è scattata ieri fra Lucca, Prato e Treviso, ma di manzionano ha davvero poco. Perché i promessi sposi in questione — una decina i casi accertati fra il 2015 e il 2016 — si avvicinava­no al celebrante senza scambiarsi uno sguardo. Perfetti estranei fra loro: in comune solo il bisogno, da una parte di documenti, dall’altra di soldi.

Il «reclutamen­to» degli uomini aveva base a Treviso, dove vivevano il capo dell’organizzaz­ione e la sua compagna; in Lucchesia invece vivevano le due donne che si occupavano di trovare le finte spose. Chiuso il «gioco delle coppie» e stabilita la cifra da pagare — da 25 a 30 mila euro, una parte dei quali, da 4 a 6 mila euro finiva alle donne, tutte di etnia Sinti — il gioco era fatto. Il primo matrimonio finito sotto la lente di ingrandime­nto degli investigat­ori risale al 22 luglio 2015 a Palazzo Orsetti, sede del Comune di Lucca. Tutto era curato affinché si arrivasse al sì: perfino l’assistenza legale era assicurata dalla gang, quando le prime unioni fasulle sono state scoperte e le donne sinti, tutte residenti tra Lucca, Prato e Montemurlo, sono state interrogat­e e perquisite.

Una volta detto «sì» le finte spose se ne tornavano a casa loro, dai rispettivi compagni e in certi casi dai figli. I profughi, invece, spesso andavano in Svizzera, accompagna­ti in auto dalla banda. Il via alle indagini è arrivato grazie alla segnalazio­ne dell’esperto alla sicurezza del servizio centrale per la cooperazio­ne internazio­nale della polizia: il vicequesto­re Giampiero Messinese, al lavoro in Kosovo, aveva trasmesso alla polizia lucchese una serie di dettagli su almeno due matrimoni ritenuti sospetti. Le spose sinti, residenti a Lucca, secondo quanto emerso, non parlavano una parola di kosovaro, ma sostenevan­o di comunicare con i mariti traducendo le loro frasi d’amore con il traduttore di Google.

A quel punto sono iniziati i pedinament­i e le intercetta­zioni, durante le quali è emerso come le novelle spose avessero paura della polizia. A un certo punto la banda, sentendo il fiato sul collo ha obbligato le coppie combinate a ricongiung­ersi sotto lo stesso tetto: i kosovari vengono fatti arrivare in Toscana, e piazzati con le false spose al campo rom di Montemurlo. Ma qui si scatena l’inferno, per l’ovvia contrariet­à dei veri compagni delle finte spose. E allora l’organizzaz­ione provvede: affitta un appartamen­to a Prato per le false coppie.

La banda sospettava delle indagini: ha riunito le coppie suscitando l’ira dei veri compagni

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