LA MALATTIA INFANTILE DEL POPULISMO: IL GENTISMO
È in corso un poderoso attacco alla democrazia rappresentativa, in nome di un imprecisato «popolo» che molti vorrebbero rappresentare. Uno di questi è proprio Matteo Salvini, che venerdì ha solidarizzato con gli sghignazzanti carcerieri delle due donne rom di Follonica.
Sarebbe troppo comodo lasciar scorrere, far finta che non sia accaduto nulla e dire che tanto ormai siamo assuefatti alle sparate del leader leghista, il quale ogni volta ci dimostra come fra lo stronzismo offline e quello online non ci sia alcuna differenza (e Salvini, peraltro, li pratica entrambi con abilità). Ma è proprio a furia di sorvolare che siamo arrivati fin qui. Aspiranti leader di un presunto popolo non identificato mettono in discussione le istituzioni, che in assenza di partiti e punti di riferimento ideologici sono l’unica cosa cui la cittadinanza civile (ce n’è una anche molto incivile) dovrebbe aggrapparsi. Le istituzioni invece esistono proprio per evitare che i tribunali del popolo espongano al pubblico ludibrio le persone — persone! — e che la gente si faccia giustizia da sola.
Tutto si tiene, in questo violento attacco alla democrazia: i tassisti che interrompono per cinque giorni il servizio pubblico a Roma, bloccando una città e assediando le sedi di partito, insultando parlamentari («mafiosi», rivolti al Pd; «t .... », rivolti a Linda Lanzillotta, «colpevole» per il famoso emendamento su Uber). Poi c’è Donald Trump che impedisce ai giornali, Cnn e New York Times di partecipare ai briefing con il suo portavoce e lancia crociate contro i media che non gli piacciono. L’Unione Europa è sotto attacco plurimo (fuori, con Trump, e dentro, con Marine Le Pen), ma per parafrasare il Winston Churchill del 1947 sulla democrazia, l’Unione Europea è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre.
Poi ci sono i grillini, che sognano un governo a colpi di forca. Basta leggere quello che scrivono sui social. «Il presidente del Pd Graziano indagato per concorso esterno e voti dai Casalesi. Renzi segretario di Gomorra!», scriveva il deputato Riccardo Fraccaro nell’aprile corso. La posizione di Graziano è stata archiviata questa settimana, ma le scuse del M5s non sono arrivate. Perché in epoca di post-boiate col botto non importa l’esito di un’indagine. È il trionfo del gentismo, malattia infantile del populismo. Recentemente ha colpito anche Renzi, che già in campagna elettorale per il referendum aveva giocato la carta del taglio alle poltrone e ai costi dei politici, offrendosi come leader anti-sistema. Eppure era già un politico ben piantato nel sistema istituzionale del Paese, colonizzato da suoi uomini e donne secondo un meccanismo collaudato di spoils system.
Si può dunque far antipolitica stando al governo o avendo appena dismesso i panni di leader di governo e di partito? Ci sono dei precedenti illustri, spiega Donatella Campus nel suo «L’antipolitica al governo» (il Mulino). Come Ronald Reagan e Silvio Berlusconi, che peraltro sono stati due pionieri nell’utilizzo della televisione come mezzo di comunicazione fra leader e popolo. Due profili diversi a prima vista, ma uniti dalla provenienza extra-politica, dalle loro storie ed esperienze di vita in ambiti estranei a quello politico-istituzionale. Arrivati al potere, hanno scelto di praticare l’antipolitica come linguaggio della differenza, mantenendo uno stile populista che consentisse loro di continuare a mantenersi «integri».
Renzi, dopo aver strizzato l’occhio al grillismo, è andato a San Francisco per trovare idee «per battere i populisti». «Mentre la politica italiana post-referendaria litiga su tutto o quasi, il mondo fuori continua a correre. Ho deciso di staccare qualche ora — mentre il Pd scrive le regole per il congresso — e di dedicarmi ad alcuni incontri di qualità in California», scrive Renzi nel suo diario californiano, glissando su una questione italiana e tangibile come lo scontro fra Uber e i tassisti. Le ultime idee arrivate da quelle parti — un posto fighissimo, beninteso — hanno fatto vincere la Clinton in California ma consegnato il resto del Paese a Donald Trump.
Dalle sparate di Salvini a quelle dei grillini, aspiranti leader di un popolo non identificato mettono in discussione le istituzioni E anche Renzi a volte gioca col fuoco