Masaccio, elogio della realtà
Soffriva di vertigini e voleva le figure ben piantate per terra, anche quelle sante e miracolose Morì in un lampo, a 26 anni, e da allora per imparare andarono tutti alla Cappella Brancacci
Non bisogna fingere di essere ciò che non si è, ma è difficile vedere le cose come sono, perché si muovono. Alcune persone a volte ci riescono, a fermare gli attimi di verità. Capita anche che la Natura ne faccia nascere un bel gruppo nello stesso periodo, così che queste persone si aiutano anche quando credono di farsi concorrenza. Tommaso fu detto Masaccio non perché fosse cattivo, anzi. Ma aveva una certa trascuratezza, era particolare nei modi, assorto nell’arte. Questo può apparire come un luogo comune, un discorso indegno di nota che viene fatto a proposito di molti grandi artisti. Ma è anche vero che una concentrazione assoluta sul proprio lavoro comporta un prezzo da pagare che non conosce chi non la pratica. Per vedere cose nuove devi guardare in modo nuovo. Masaccio vide le forme reali dei corpi, la consistenza delle ombre. Perfino le aureole dei santi le fece reali, esattamente come sono: il che è un miracolo perché non le aveva mai viste nessuno. Le disegnò in prospettiva, in modo che il miracolo fosse in armonia con le leggi fisiche. Prima di lui gli artisti raffiguravano gente che cammina in punta dei piedi, più o meno. Masaccio fu il primo a far camminare la gente in modo naturale, con gran sollievo delle immagini. La vita non procede in punta dei piedi. E poi anche la vita si muove: e ci vuole una bella prontezza per seguirla. Le figure di Masaccio sono così vive e vere che non parlano solo perché stanno zitte. Lavorò molto con Masolino. Anche Masolino si chiamava Tommaso, il soprannome sottolinea il carattere diverso. Era più anziano e diceva a Masaccio: «Guarda me che sono il tuo maestro». «Ma neanche per idea» rispondeva Masaccio. Scherzavano. Non si sa bene chi siano stati i rispettivi maestri. Lavorando insieme volevano creare un’unità. Noi per patologia analitica abbiamo la tendenza a separare ciò che l’arte ha unito. E vogliamo a tutti i costi chiarire quello che Masaccio e Masolino volevano confondere. Quando un curioso guardando il quadro detto Sant’Anna Metterza chiese: «Te che hai fatto Masaccio?», «Io quella parte lì» rispose lui indicando l’opera di Masolino. Erano diversi, cercavano la simbiosi.
Mentre lavoravano alla Cappella Brancacci parlavano molto. Stavano lassù in alto sul ponteggio. «Io voglio la credibilità» diceva Masaccio.
«Cos’hai contro la incredibilità?». «Ci credo meno». Poi si scambiavano le postazioni e stavano ore a pensare a quello che avevano detto, mentre dipingevano. Masaccio con uno sguardo torvo che si vede anche nell’autoritratto, Masolino sorridente, incantato dalle sue fiabe. Sapeva che Masaccio dava molto ascolto a Brunelleschi e Donatello, allora mitemente lo provocava.
«Ti ho mai raccontato di quando ho lavorato col Ghiberti?». «Ho paura di sì». «Guarda che non ti aiuto a scendere. Lo so che hai paura». Masaccio soffriva di vertigini, per questo voleva le figure ben piantate per terra, anche quelle sante e miracolose, ed era così attento alla naturalezza dei piedi. Masolino insisteva con i suoi maestri gotici.
«Ti ho mai raccontato del mio amico Gherardo Starnina?».
«Starnina, sempre Starnina».
«Grande pittore, lui sì che resterà nella memoria degli uomini. All’inizio era insopportabile, quasi come te. Poi ha viaggiato ed è tornato che era simpatico. Dovresti prendere esempio. Ce ne andassimo di nuovo a Roma?».
«Non lo so. Ho una brutta sensazione».
«Tu hai sempre brutte sensazioni. Forse me ne andrò in Ungheria». (Dove infatti andò). «Lo sai che il carattere conta più della realtà? Il mio ...». «Il tuo amico Parri Spinelli da quando si è preso una grande paura dipinge tutte le figure storte. No, non me l’hai mai detto».
Masaccio cercava la solidità delle figure perché conosceva la fragilità degli uomini. In famiglia, quando era bambino, aveva spesso sentito parlare di quante persone si era portata via la peste. Immaginava quelle persone portate via come spazi vuoti in un affresco.
Nel Battesimo dei Neofiti dipinse un nudo che trema con bellissimo rilievo e dolce maniera, e nel Pagamento del tributo il gioco di sguardi tra Gesù e i suoi è reale e intenso come le montagne dietro di loro. Quelli sono i monti del Chianti, dove Gesù non è mai stato. Del resto la città in cui si muove il San Pietro di questi affreschi è Firenze. Perché la realtà si muove misteriosamente. A volte vola. Chi guardi La resurrezione del figlio di Teofilo, a sinistra, vedrà un gruppo di persone e potrà contare cinque teste ed otto piedi. Su cosa si regge la quinta testa?
Sempre nella cappella Brancacci, Masolino dipinse la Tentazione di Adamo ed Eva e Masaccio La cacciata dal Paradiso terrestre. Viene lodato il realismo drammatico di Masaccio, con Eva che sembra conoscere l’urlo di Munch, rispetto all’aria fiabesca degli Adamo ed Eva di Masolino. «Che fanno quei due?» chiedeva Masolino.
«Scappano dal Paradiso».
«Oh bé si vede... Comunque non mi sembra credibile». Masaccio si voltò, con quel suo sguardo obliquo. Masolino spiegava: «Chi si farebbe convincere a mangiare il frutto proibito o a fare qualsiasi altra cosa dalla tua Eva? Invece guarda la mia». Masaccio quasi sorrideva: adorava l’Eva del suo amico, quella donna aveva un modo molto attraente di essere fuori dal mondo.
In Santa Maria Novella Masaccio dipinse una Trinità impressionante. Brunelleschi, che non lo mollava mai, gli spiegò come fare. Non so se davvero l’affresco trasmetta un senso di realtà. Masaccio fu attratto, per la prima volta, da una fissità atemporale (forse gli giungeva, per oscuri sentieri, dai discorsi con Masolino). Ma il muro pare bucato, dice Vasari. Sembra di poter passare nella dimensione del dipinto. Dopo averlo tanto elogiato, Vasari lo coprì mettendoci davanti una pala d’altare con la sua cornice architettonica in pietra. E così è rimasto nascosto, dormendo per secoli. Possiamo solo immaginare le complesse emozioni che Vasari trasse da questo comportamento contraddittorio. Masaccio morì com’era vissuto. In un lampo. A ventisei anni. «Una grande perdita» disse Brunelleschi. E tutti quelli che volevano imparare andarono, da allora in poi, nella cappella Brancacci. Vide cose nuove perché guardò in modo nuovo. Siccome aveva le vertigini appoggiò bene i piedi e si trovò nella posizione giusta per spostare di peso l’intero edificio della pittura occidentale.
7. Continua. Le precedenti puntate: 13-27/11; 11-31/12 2016; 22-1 e 5-2