LA NOTTATA DELLA POLITICA
La condanna di Denis Verdini per il crac del Credito Cooperativo è rilevante per almeno tre ragioni: 1) segna la vicenda umana e politica di un uomo che è stato a lungo il braccio destro di Silvio Berlusconi e che per anni ha fatto e disfatto le sorti di Forza Italia e del centrodestra, anche in Toscana, la terra della sua nascita e della sua ascesa; 2) dà una prima, severa risposta a quell’intreccio di politica, interessi e affari che l’inchiesta della procura ha fatto emergere con prove che hanno superato la prova del dibattimento, anche se poi dovranno reggere alla riprova dell’appello; 3) riporta in primo piano il problema della trasparenza in un Paese che, demolito da Mani Pulite il sistema del finanziamento pubblico dei partiti afflitto dalla corruzione, non ha più trovato la quadra. Anzi, forse neppure ci ha mai provato sul serio, tutto assorbito com’era dallo scontro sul conflitto di interessi del Cavaliere. Un’esibizione muscolare la cui posta in gioco non era una legge seria che risolvesse il problema, subito e in prospettiva, ma la sopravvivenza politica o meno del protagonista. Sono considerazioni che in parte valgono anche per il caso dell’inchiesta su appalti e mazzette che ha coinvolto Tiziano Renzi, il suo amico di Scandicci Carlo Russo e l’imprenditore Alfredo Romeo che, secondo le ipotesi dei Pm, avrebbe foraggiato gli altri due in cambio di pressioni per condizionare le assegnazioni del Consip (il centro che gestisce la macchina delle spese di tutta l’amministrazione pubblica). Il padre dell’ex premier nega di aver mai ricevuto offerte e di avere ricevuto soldi, rivendicando la sua onestà, ma l’Espresso rivela che l’Ad di Consip, l’ex assessore toscano alla sanità Luigi Marroni, avrebbe parlato ai magistrati delle interferenze di Russo, che gli avrebbe ricordato come la sua nomina fosse avvenuta grazie ai buoni uffici dello stesso Tiziano Renzi e di Denis Verdini, di fatto «arbitri» del suo destino professionale. Vero? O una montatura? Fatto è che la vicenda giudiziaria di Renzi padre rischia di assestare un colpo pesante al figlio, in una stagione per lui piena di attacchi, polemiche,ostacoli. Sia dentro il Pd che si sta avviando verso le primarie del 30 aprile sia fuori, soprattutto per opera degli scissionisti e dei Cinquestelle. A parte le considerazioni (anche di semplice buonsenso) sull’opportunità che i familiari di un premier si astengano da attività che direttamente o indirettamente gli potrebbero essere d’intralcio o recare danno, riemerge anche in questo caso la questione irrisolta della trasparenza della politica.