Il crac di Verdini: «Nove anni»
Condanna per bancarotta e truffa ai danni dello Stato. L’avvocato: pronti a combattere
Nove anni di reclusione per il senatore di Ala Denis Verdini: è la pesante condanna decisa ieri dal Tribunale di Firenze per il crac del Credito Cooperativo di Campi Bisenzio e per la vicenda dei finanziamenti pubblici al Giornale della Toscana.
Il senatore Denis Verdini non è in aula il giorno della disfatta. Dopo sette giorni in camera di consiglio i giudici scrivono il verdetto sul crac della banca che Verdini ha guidato per vent’anni e sulla sua carriera di editore. Ed è una sentenza pesante come un macigno: nove anni di reclusione (i pm avevano chiesto per lui 11 anni) per bancarotta del Credito cooperativo e truffa ai danni dello Stato per i finanziamenti pubblici all’editoria (ma solo per gli anni 2008-2009 mentre per i precedenti è intervenuta la prescrizione) interdizione in perpetuo dai pubblici uffici, inabilitazione all’esercizio dell’impresa commerciale e incapacità a esercitare uffici direttivi per dieci anni. Caduta invece l’accusa di associazione per delinquere perché il fatto non sussiste. Sono le 16,40 quando nell’aula bunker, dove da quasi due ore si accalcano giornalisti, fotografi e cameraman, il presidente del collegio Mario Profeta legge le dieci pagine del dispositivo che accoglie quasi completamente la ricostruzione dei pm, il procuratore aggiunto Luca Turco e il sostituto Giuseppina Mione: 20 condanne su 43, alcune prescrizioni e tre assoluzioni. «Verdini — era stata la requisitoria dei pm — ha utilizzato il Credito come un bancomat soddisfacendo interessi personali e dei suoi amici d’affari».
Al centro del maxiprocesso che conta 43 imputati, andato avanti per quasi due anni, la vicenda del Credito cooperativo fiorentino di Campi Bisenzio e la truffa ai danni dello Stato per i finanziamenti pubblici al Giornale della Toscana ea Metropoli. Così la sentenza è una raffica di condanne per gli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei (5 anni e sei mesi), per i componenti del consiglio di amministrazione della banca, gli «uomini del Presidente» per i pm (tra 5 anni e 8 mesi e 4 anni e 3 mesi), per Piero Biagini, ex direttore generale dell’istituto di credito (6 anni), considerato l’esecutore delle direttive di Verdini, per Girolamo Strozzi, presidente del Cda della Società Toscana Edizioni (un anno e 6 mesi) e per il deputato di Ala Massimo Parisi, amministratore di fatto della Ste (2 anni e 6 mesi).
Verdini è stato assolto per la vicenda del finanziamento da 2 milioni e mezzo concesso alla moglie e per il fido di 3 milioni e 200 mila euro a Marcello Dell’Utri.
Verdini e l’ex consiglio di amministrazione del Ccf dovranno versare un risarcimento alla Banca d’Italia e alla Presidenza del Consiglio dei ministri: il tribunale ha disposto una provvisionale immediatamente esecutiva di 175 mila euro a favore della prima e di 2,5 milioni per la seconda. Ordinata la confisca di poco più 9 milioni di euro nei confronti del senatore di Ala e dei due board di Ste e Settemari, le società che pubblicavano Il Giornale della Toscana e il periodico Metropoli: una somma corrispondente ai contributi erogati dallo Stato per il 2008 e 2009. Fallite le due società, il tribunale ha dichiarato estinto l’illecito amministrativo contestato dalla Procura.
«Ci aspettavamo ben altra sentenza — dice l’avvocato Franco Coppi da Roma, uno dei
L’imprenditore amico Fusi: questa è una grande ingiustizia. Hanno distrutto la mia azienda, mentre chi paga le tangenti continua a lavorare
difensori di Verdini — e non ci consola certamente la pur giusta assoluzione dall’accusa di associazione a delinquere». «Siamo pronti a combattere» aggiunge la collega Ester Molinaro. In aula non c’è neppure il deputato Ala Massimo Parisi ma parla il suo difensore Francesco Paolo Sisto: «Parisi dal 2008 è parlamentare e qualcuno dovrà dimostrare come abbia potuto, da tale data, porre in essere quanto gli viene rimproverato, e senza che avesse alcun ruolo».
In aula c’è invece Riccardo Fusi, presente a quasi tutte le udienze. Sembra rassegnato, ma appena i giudici abbandonano l’aula, sbotta: «Questa sentenza è una grande ingiustizia. Abbiamo lavorato sempre per il bene dell’azienda non abbiamo mai portato via un soldo ma grazie a questa indagine mi sono state portate via le mie aziende. Oggi è stata distrutta una delle imprese di costruzioni più grandi della Toscana (la Baldassini Tognozzi Pontello, ndr) mentre chi paga le tangenti continua a lavorare». Incalzano i suoi legali, Alessandro Traversi e Sara Gennai: «Faremo appello, continuiamo a credere che non esista il reato di bancarotta fraudolenta contestato a tutti, tanto più a un esterno alla banca, come Fusi».