Corriere Fiorentino

La Realpoliti­k dell’anti Pci che si inventò i gazebo

LUI, L’ITALIA E LA TOSCANA

- Bonciani

Uomo forte di Forza Italia, braccio destro di Berlusconi, banchiere, Denis Verdini è stato centrale nella vita politica per più di 15 anni in Toscana e in Italia.

Segno zodiacale Toro, 66 anni, nato a Fivizzano (come Sandro Bondi) anche se ha costruito carriera e fortuna tra Firenze e Campi Bisenzio, per Denis Verdini la sentenza di ieri segna comunque uno spartiacqu­e. Un nuovo capitolo della sua storia pubblica, iniziata a metà degli anni Novanta ed esplosa nella seconda metà degli anni 2000, prima di incappare nel fallimento della «sua banca», il Credito Cooperativ­o, ed in numerose vicende giudiziari­e che finora non gli hanno tolto il suo tipico sorriso e un ruolo centrale nelle vicende parlamenta­ri.

La storia di Denis Verdini in Toscana e in Italia è quella di un uomo ambizioso, un po’ guascone, di un politico infaticabi­le organizzat­ore e negoziator­e ma anche prolifico «tagliatore di teste» come lui stesso si vantava, di un oppositore mai troppo forte al «sistema di potere del Pci-Pds-DsPd», campione di una Realpoliti­k secondo i suoi estimatori e di inciuci secondo i detrattori, che non hanno mai dato veramente fastidio alla sinistra (vedi Monte dei Paschi). Di Verdini si è criticato negli anni anche la volontà accentratr­ice, che ha creato tanti «verdiniani» nel corso del tempo ma non una vera classe politica, facendo terra bruciata di tutti gli oppositori interni. Il rapporto profondo ed esclusivo con Silvio Berlusconi (alla fine lasciato per l’appoggio al governo Renzi) è stata la sua forza, ma anche la debolezza di Forza Italia in Toscana, come quando impose candidati sindaco a Firenze, prima contro Leonardo Domenici poi contro Matteo Renzi, i «civici» Domenico Valentino e Giovanni Galli, senza però raccoglier­e successi (anzi) e dividendo il partito. Nel mezzo ci sono stati anni alla guida della «banchetta» di Campi — cresciuta fino a sette sportelli prima che la Banca d’Italia ne chiedesse «la procedura di amministra­zione straordina­ria per gravi irregolari­tà e gravi violazioni normative» e poi nel marzo 2012 ne fosse decretata la liquidazio­ne coatta e la cessazione, con le attività acquisite da Chiantiban­ca — e centinaia di riunioni per compilare le liste azzurre e per guidare l’azione politica in Regione.

Verdini diventa qualcosa più di un banchiere nel 1995 con il passaggio dai Repubblica­ni — il cui approdo come laico e frequentat­ore della casa di Giovanni Spadolini, suo professore a Scienze Politiche e a cui lo legava anche la moglie Simonetta Fossombron­i, era stato naturale — a Forza Italia. Eletto in Consiglio regionale con 3.000 preferenze nel collegio di Firenze, fa il salto di qualità quando appoggia Giuliano Ferrara nella missione impossibil­e di battere Antonio Di Pietro nel collegio rosso del Mugello nel 1997, creando un rapporto di amicizia mai interrotto con l’ex direttore del Foglio. Nel 2000 — intanto sotto la sua regia nel ‘98 era nato Il Giornale della Toscana —è eletto di nuovo in Regione ma nel 2001 entra in Parlamento (da dove non è più uscito, sempre per Forza Italia fino a fondare Ala nel luglio 2015) e da braccio destro di Berlusconi inventa i gazebo e le mobilitazi­oni in piazza. Nel 2008 diventa coordinato­re nazionale degli azzurri, gestendo la «fusione» con An per formare il Pdl e rimanendo poi coordinato­re nazionale nel Pdl assieme a Sandro Bondi e Ignazio La Russa. Intanto nella sua regione Verdini tratta con gli ex comunisti, come nel caso dei posti in quota Forza Italia nel Cda di Banca Mps e ai vertici della Fondazione nell’era Mussari. Il suo capolavoro politico toscano è il varo nel 2004 della legge elettorale che porta da 50 a 65 i consiglier­i regionali, consentend­o così al centrodest­ra di avere eletti in ogni provincia e togliendo nello stesso tempo le preferenze, facendo da apripista alla legge nazionale che le abolì, accordo replicato tra Pd e Fi nel 2014 con il varo del Toscanellu­m con il premio di maggioranz­a al candidato presidente che supera il 40% dei voti, norma che a sua volta ha ispirato l’Italicum. E proprio l’Italicum, con il via libera alla riforma costituzio­nale poi bocciata dal referendum del 4 dicembre 2016, sono stati frutto del Patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi: in difesa di quel patto Verdini rompe il decennale rapporto con l’ex Cavaliere, portando con sé molti parlamenta­ri azzurri — mentre cresceva il suo peso politico a Roma, diminuiva quello in Toscana — per passare all’appoggio a Renzi e votare Sì al referendum, reclamando poi senza ottenerlo un posto nel governo Gentiloni.

Verdini significa anche i rapporti con il costruttor­e Riccardo Fusi, una lunga serie di inchieste, la condanna nel 2016 in primo grado per concorso in corruzione nello scandalo della scuola maresciall­i di Firenze a Castello (reato poi prescritto), il rinvio a giudizio con l’accusa di bancarotta per il crac della Società Toscana di Edizioni che pubblicava il Giornale della Toscana, quello per la cosidetta P3, la nuova condanna di ieri a 7 anni per il crac del Ccf ed a 2 anni per truffa ai danni dello Stato per i fondi dell’editoria, con l’interdizio­ne perpetua dai pubblici uffici.

Un capitolo di vita che da oggi per lui, per Denis come si fa chiamare da tutti, amici e nemici, sarà molto più difficile da gestire. Forse un’era è davvero finita.

Parabole Diventa qualcosa di più di un banchiere passando dalla casa di Spadolini ad Arcore

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Alla presentazi­one del libro di Parisi sul Patto del Nazareno Sotto, con Berlusconi e Alfano in Forza Italia
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Stretta di mano con Renzi, allora sindaco di Firenze, al congresso di FI A destra, con il piccone in piazza della Repubblica per ricordare la caduta del Muro di Berlino
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