Giallo a Bogotà, la Farnesina chiede le impronte digitali
«Siamo a completa disposizione della famiglia, e anche se non è necessaria la presenza dei familiari, comprendiamo il loro stato d’animo e se vogliono andare a Bogotà avranno tutta l’assistenza necessaria». È in campo, in Italia e in Colombia, il ministero degli Esteri italiano per il caso di Andrea Durin. Dalla Farnesina arrivano parole di sostegno e di conforto per il fratello e i figli del tecnico del suono e musicista di Montelupo Fiorentino, sul cui ritrovamento senza vita, in un hotel di Bogotà, ci sono ancora molti punti da chiarire. I ritardi delle autorità colombiane, infatti, denunciati dalla famiglia Durin, sono evidenti, e anche per questo l’ambasciata italiana a Bogotà starebbe mediando con gli inquirenti locali affinché si arrivi al più presto al riconoscimento ufficiale del corpo, dopo le immagini mostrate ieri ai funzionari diplomatici italiani di Bogotà. Per questo, sono state richieste le impronte digitali del cadavere, ma ci sarebbe una certa reticenza da parte della polizia colombiana. Il comportamento delle autorità locali rispetto al caso Durin è stato fin da subito problematico: il ritrovamento del cadavere, il 18 febbraio, ma comunicato solo quattro giorni dopo all’ambasciata, ha complicato le operazioni burocratiche, e messo anche in agitazione la famiglia, che è stata avvertita il 24 febbraio. «A questo punto io voglio solo riportare a casa mio fratello» spiega Paolo Durin, che sarebbe voluto partire col nipote ventenne. «Ma ormai non ha più senso: voleva vedere suo padre per l’ultima volta, non posso fargli vedere un cadavere di più venti giorni». Durin ancora non si capacita del comportamento dei colombiani: «Non capisco perché stanno facendo tutta questa confusione. Anche con la data della morte: ai media di Bogotà è stato detto che l’hanno trovato il 20, mentre sui documenti che hanno inviato il 18. Cosa è successo in quei quattro giorni poi? Che aspettavano a dirlo all’ambasciata?». E così con tutto ciò che riguarda la vicenda: per l’esame autoptico, già effettuato, e i cui risultati saranno disponibili solo tra sei mesi, e l’esame tossicologico, di cui le autorità colombiane non hanno dato conferme. Paolo è sicuro che il fratello era vivo la notte tra il 16 e il 17 febbraio: «Ci siamo scambiati degli sms, di notte, quindi io lo so che non era ancora morto. A me basterebbe vedere quella fotografia del ginocchio per essere sicuro — dice Paolo — ma nemmeno quella ci hanno voluto mandare».