Con Chung all’Opera, una lezione di umiltà «Ho appreso l’umanità da Giulini e Messiaen Suonare qui? Come farlo in famiglia»
Il grande direttore coreano dirige il «Requiem» di Verdi
Per Myung –Whun Chung tornare a dirigere l’Orchestra e il Coro del Maggio Musicale è un po’ come rientrare a casa. L’ultima volta è stata nel 2003, per la Nona di Beethoven. «Un’orchestra è come una famiglia. Contano gli affetti, la dimensione umana. E qui, a Firenze, ho iniziato le mie prime esperienze come direttore di un’orchestra italiana (negli anni 1987-92 è stato direttore ospite principale del Teatro Comunale ndr). Dunque ora è come lavorare di nuovo fra amici».
Ha appena iniziato i primi incontri per le prove, il maestro di origine coreana: e sabato (alle ore 20) e domenica (ore 15.30), all’Opera di Firenze alzerà la bacchetta per la Messa da Requiem di Verdi, con solisti di canto Maria José Siri, Elena Zhidkova, Gregory Kunde, Gianluca Buratto. «Nel Requiem di Verdi la chiave di volta è Dio, lo stesso che ritroviamo nel Don Carlo. L’inizio, l’Introito, rimane qualcosa di indescrivibile: poche note per farti entrare in una dimensione spirituale. Solo un genio come Verdi poteva riuscirci. L’importante è tirar fuori e far vivere questa spiritualità. Ciascuno lo può fare a modo suo».
Chung parla con pacatezza alla vigilia del suoi concerti, in lui c’è la tranquilla sicurezza dell’uomo di esperienza. Quasi un saggio. Naturalezza e semplicità («cerco sempre di essere semplice come un bambino, ma avendo dentro di me la ricchezza di una vita») sono i suoi imperativi quando sale sul podio. «Un direttore deve vivere la musica dopo averla assimilata con lo studio di anni e anni, e aiutare i musicisti a viverla. Si diventa direttori d’orchestra a sessant’anni. O meglio, si inizia a diventarlo. La nostra è una gestualità semplicissima, se vogliamo ridicola — dice mimando un attacco, mano in alto e poi in basso, in verticale — Poi per capire tutto il resto ci vogliono altri venticinque anni!». Il ricordo va poi a Franco Ferrara, leggendario insegnante di tutte le più grandi bacchette, e del quale anche Chung seguì le lezioni all’Accademia Chigiana di Siena; poi si sofferma su Carlo Maria Giulini, che lo volle come assistente alla Los Angeles Philharmonic: «Da lui ho imparato l’umiltà e l’umanità. Oggi non ne esistono più come lui. Era forse più grande come uomo che come artista. Un’altra figura ricca di umanità è stato il compositore Olivier Messiaen: anzi, lui lo considero un santo». E MyungWhun Chung come si definirebbe? «Oggi non mi sento più un musicista professionista. La vita si articola in tre fasi: un momento di formazione, uno di attività professionale per mettere a frutto quegli studi, e l’ultimo nel quale c’è una grande responsabilità: quella di restituire quell’esperienza. Come è possibile farlo? Aiutando e stimolando i giovani a inseguire i propri sogni ».