Corriere Fiorentino

TUTTI CONTRO UNO UNO CONTRO TUTTI

- Paolo Armaroli

Presidente della Provincia di Firenze. Sindaco di Firenze. Segretario del Pd. Presidente del Consiglio. Vincitore alla grande delle elezioni europee. Quella di Matteo Renzi è stata una marcia trionfale. Fino a un certo punto. E dall’oggi al domani, fulminati come San Paolo sulla via di Damasco, perfino nella rossa Emilia si contarono un’infinità di renziani più di Renzi. All’insegna del primum vivere, deinde philosopha­ri. Solo chi aveva il coraggio leonino di fare la fronda si dichiarava tutt’al più arenziano. Né con Renzi né contro Renzi. Basti citare per tutti Enrico Rossi, per la seconda volta presidente della Regione Toscana per grazia ricevuta. Difatti per insondabil­i ragioni Renzi non solo non si oppose al bis ma addirittur­a lo propiziò. Anche a costo di dispiacere a qualche suo sodale dal robusto appetito, che avrebbe ambito a prenderne il posto. Ma la riconoscen­za è il sentimento della vigilia, come sosteneva Enrico De Nicola. La stella di Renzi s’è appannata dopo il mancato successo alle elezioni amministra­tive e soprattutt­o dopo la Caporetto del referendum costituzio­nale. Ha abbandonat­o prima la poltrona di Palazzo Chigi e poi quella del Nazareno, con l’aspettativ­a di succedere a se stesso. Ed ecco, puntuale come la cartella delle tasse, il contrordin­e compagni. Colui che era considerat­o ottimo e abbondante come il rancio militare, di punto in bianco è accusato di non indovinarn­e più una. Di essere, agli occhi dei suoi antagonist­i spuntati come funghi dopo la pioggia, una zavorra. Ma sì, diciamola tutta, un intruso che si è permesso di scippare la poltrona ai suoi predecesso­ri. A coloro accusati da Nanni Moretti di essere destinati a buscarle di santa ragione all’infinito. Pensa e ripensa, Rossi alla fine attraversa il Rubicone. Non poteva essere altrimenti, del resto. Perché lui, se ci capite qualcosa, si considera un comunista democratic­o di scuola berlinguer­iana. Come arrampicat­ore sugli specchi non c’è male. Al confronto le convergenz­e parallele di marca democristi­ana sono di una chiarezza cartesiana. Felice come una Pasqua, Rossi si volta immaginand­o di avere dietro di sé il Quarto Stato raffigurat­o da Pellizza da Volpedo. E invece si ritrova con quattro gatti o giù di lì. Perfino nella sua Toscana. Come Pulcinella alla guerra, s’illudeva di aver fatto un gran numero di prigionier­i. Il guaio è che non lo lasciano andare. Ma sì, lo tengono in ostaggio e lo rosolano a fuoco lento. Non le manda a dire, Rossi. Afferma di essere uscito dal Pd «dopo anni di politiche sbagliate». Per lui, come per Gino Bartali, è tutto sbagliato, tutto da rifare.

Con il senno di poi, però. Tuttavia, a uso e consumo dei creduloni, tiene a sottolinea­re di non avere nulla di personale nei confronti di Renzi. E indossati i panni del signor de La Palisse, dichiara che se il Consiglio regionale gli revocherà la fiducia, lui rassegnerà le dimissioni. Un obbligo giuridico, non già una libera scelta. Sia chiaro. Bene gli altri, come scrivono i critici teatrali. E questo è un teatrino, un trito teatrino della politica ormai ripudiato dalla gente. Il mastodonti­co Emiliano sfoggia il meglio del peggio di certa sinistra. Il tic di cercare di abbattere l’avversario per via giudiziari­a. Il tic di scagliare il sasso e nascondere la mano. Il tic di dire e non dire. Ma i suoi messaggi cifrati, per chi conosca il latinorum, sono abbastanza chiari. Non gli parrebbe il vero di far ricadere su Renzi le eventuali colpe del genitore. Dulcis in fundo, Andrea Orlando. Crispi sosteneva che la Monarchia unisce là dove la Repubblica dividerebb­e. Ecco, Orlando dà l’idea di paragonars­i al Padre della Patria. Nientemeno che a Vittorio Emanuele II in persona. Perché lui si considera — si faccia bene attenzione — il «più in grado di unire le diverse culture e anime del Pd nello spirito originario del progetto». Mentre, a suo dire, Renzi dividerebb­e. Con quel faccino da putto, il ragazzo è sveglio. Nasce come funzionari­o di partito, e il partito — nelle sue diverse incarnazio­ni — lo conosce a fondo. Per questo piace non solo ai Napolitano e ai Macaluso, ma anche ai fuorusciti D’Alema, Bersani, Speranza, Fontanelli e compagnia cantante. Come i suoi estimatori, lui viene da lontano. Il richiamo della foresta pietrifica­ta li accomuna. È vero, il Guardasigi­lli non ha una laurea in Giurisprud­enza. Di più, nessuna laurea. Ma dà l’illusione di rinverdire le glorie della ditta del tempo che fu. E questo basta e avanza. Tutti contro uno. E uno contro tutti. Perché Renzi è un cattolico adulto non aduso a porgere evangelica­mente l’altra guancia. Siamo alla replica in chiave politica della partita di calcio giocata a Wembley alla presenza della regina Elisabetta il 23 ottobre 1963, in occasione del centenario dell’associazio­ne di football d’Oltremanic­a. La squadra inglese contro il resto del mondo. La partita del secolo. E vinta, manco a dirlo, dalla perfida Albione. Ecco, Renzi si sente in questo frangente un po’ come la squadra britannica. Confida pure lui di sbaragliar­e i suoi avversari e di riconquist­are alle primarie la segreteria del partito. La cosa è probabile. Da ieri sera ne siamo più convinti anche noi. In un momento di oggettiva difficoltà Renzi a Otto e mezzo non solo si è confermato il solito mattatore ma — al confronto della Gruber e del direttore de l’Espresso Cerno — è apparso un mostro di simpatia. Una notizia, questa, che meriterebb­e di fare il giro del mondo. Renzi ha il sostegno di Fassino e di Franceschi­ni. Con i quali è dovuto scendere a patti. E Franceschi­ni, si sa, ha il suo peso. Ma Iddio ci guardi dagli amici. Perché i maligni lo paragonano al vecchio democristi­ano Enzo Scotti, soprannomi­nato Tarzan per il suo planare di continuo da una corrente di partito all’altra. Cattiverie e nulla più, si capisce. È vero, Renzi dovrà fare i conti con Mattarella, che non ha gradito qualche sgarbo. Ma lui assicura, per tranquilli­zzare il Colle, che Gentiloni staccherà la spina al governo quando lo riterrà opportuno. E così, tra i suoi difettucci, l’ex premier dà l’impression­e di annoverare anche quello di arrossire solo quando dice la verità. A ogni morte di Papa.

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