Corriere Fiorentino

E Woodcock a Firenze interroga l’amico Russo

Negata ogni accusa davanti ai pm romani. A Firenze l’amico Russo fa scena muta con Woodcock

- Antonella Mollica

«Non ho mai incontrato né conosciuto l’imprendito­re napoletano Alfredo Romeo, non sono mai stato in Consip, non conosco Denis Verdini e non ho mai preso un soldo. L’incontro con Marroni c’è stato ma per tutt’altra faccenda». Tiziano Renzi, nelle quattro ore in Procura a Roma, davanti al procurator­e aggiunto Paolo Ielo, alla presenza della pm di Napoli Celeste Carrano, respinge tutte le accuse sull’inchiesta che ha portato in carcere l’imprendito­re napoletano Romeo, quello che secondo il gip cercava di aggiudicar­si appalti miliardari «a suon di mazzette» alla Consip, la centrale acquisti della pubblica amministra­zione. Per gli inquirenti il padre dell’ex premier Matteo Renzi, insieme all’amico Carlo Russo — il «facilitato­re» di Scandicci — avrebbe aiutato l’imprendito­re napoletano Alfredo Romeo a rafforzare i rapporti di Romeo in Consip in cambio della promessa di denaro. Molte le domande alle quali ha dovuto rispondere Renzi, dalle affermazio­ni di Luigi Marroni sulle pressioni per aiutare Romeo, alle minacce sulla sua carriera; dagli incontri «segreti» con Romeo e Russo alle intercetta­zioni in cui Romeo parla di soldi in contanti e chiede se «il dottore ha gradito» — per gli inquirenti il dottore sarebbe Renzi senior — per finire ai pizzini ritrovati nella spazzatura in cui Romeo aveva appuntato «30 mila euro» accanto alla lettera T che starebbe per Tiziano. «È un classico caso di abuso di cognome — ha detto il suo difensore Federico Bagattini al termine dell’interrogat­orio — Qualcuno ha sempliceme­nte abusato del nome di Tiziano Renzi». Ha scelto la strada del silenzio invece Carlo Russo. Arrivato ieri intorno alle 13,30 in taxi davanti al comando provincial­e dei carabinier­i di Firenze, a Borgogniss­anti, insieme ai suoi avvocati, elegante, capelli corti e molto dimagrito rispetto alle vecchie foto che circolano da settimane, si è infilato nel portone con il cellulare all’orecchio, schivando i giornalist­i ed è uscito 3 ore dopo, sussurrand­o un «buonasera e buon lavoro». Davanti ai magistrati si è avvalso della facoltà di non rispondere. Lui avrebbe voluto rispondere ma un interrogat­orio al buio, solo sulla base di un decreto di perquisizi­one, senza sapere cosa hanno in mano i magistrati, gli hanno spiegato gli avvocati Gabriele e Marco Zanobini, è troppo rischioso. «Quando saremo su un piano di parità, rispondere­mo a tutte le domande», hanno detto ai pm Mario Palazzi di Roma e Henry John Woodcock di Napoli, che stanno lavorando insieme all’inchiesta che sta provocando il terremoto nella politica italiana. I due pm in trasferta a Firenze hanno poi sentito altri testimoni.

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