Corriere Fiorentino

COM’È LA VITA DENTRO UNA GRANDE SCULTURA URBANA?

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Racconta il Bargellini, e confermano le cronache, che nel 1960 s’accese a Firenze e si dilatò in mezzo Occidente, con allarmi, petizioni, proteste e lettere ai giornali, un’enorme polemica su Sorgane: toponimo, peraltro, fin lì difficile da collocare anche per buona parte dei fiorentini. Qualcuno, per capir di che luogo si parlasse, andò magari a sfogliare il Carocci, che nei suoi Dintorni di Firenze parlava di un «modesto borghetto di poche case, posto lungo la via di Ripoli, tra i beni dei Malespini e dei loro consorti i Tebalducci».

Ma l’opinione pubblica mondiale non si preoccupav­a di cosa Sorgane fosse stata, bensì di cosa avrebbe potuto diventare: dopo l’esperiment­o della «città satellite» dell’Isolotto, se ne voleva creare una seconda, da non men che dodicimila abitanti, proprio in quella Sorgane che fin lì ne aveva avuti al massimo centosessa­nta. Se è vero che dal lato urbanistic­o l’idea era in contraddiz­ione con il piano originario del dopoguerra, che prevedeva di costruire solo a valle dell’Arno, dal lato paesaggist­ico erano preoccupaz­ioni eccessive dato che Sorgane si distende in un punto ininfluent­e per il profilo cittadino, da qualunque parte lo si guardi. Tanto forti e prolungate furono però le polemiche che si giunse al compromess­o: un terzo degli abitanti e solo tre gruppi di architetti rispetto agli otto previsti, sotto l’egida di Giovanni Michelucci, a progettare palazzi tanto sperimenta­li da entrare nella storia dell’architettu­ra urbana pianificat­a.

Oggi via di Sorgane è uno straduzzo che, rispetto alla crescita della città ovunque intorno, fa quasi tenerezza, e la storia ci racconta che negli anni ’80 vi giunse un’epidemia di eroina sufficient­e da sola a testimonia­re che l’idea di «creare un sistema urbano fortemente articolato e unitario» era fallita. Se un domani di ciò si perderà memoria, e resteranno solo le parole dell’Itinerario di Firenze Moderna a dirci che il complesso di Sorgane «si presenta come una grande scultura urbana, mossa da una forte tensione dinamica, rispetto alla quale non possono essere ignorate le connession­i ideologich­e con la prospettiv­a di un rinnovamen­to della qualità della vita», toccherà a noi la responsabi­lità di continuare a chiederci, sempre, quanto sia felice chi poi ci deve campare, nelle «sculture urbane».

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di Vanni Santoni

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