Corriere Fiorentino

I PENDOLARI DEMOCRATIC­I

- Roberto Barzanti

Èstupeface­nte la risposta che Enrico Rossi ha dato l’altro ieri ad Alan Friedman durante la presentazi­one dell’ultimo libro del giornalist­a statuniten­se (Questa non è l’America) che è anche un grande conoscitor­e del nostro Paese. Alla domanda se sia ipotizzabi­le un ritorno del governator­e della Toscana nel Pd in caso di vittoria di Andrea Orlando alle primarie, Rossi ha detto: «Se ne può discutere». Facendo intendere che una retromarci­a è, se non altro, ipotizzabi­le. Le prime, incaute, smentite dello staff (i video parlano chiaro) e le successive precisazio­ni dello stesso governator­e hanno finito con il rendere ancora più evidente ciò che era già chiaro. E cioè che la scissione e la nascita del Mdp sono state un mossa avventuros­a senza basi di effettiva necessità. Una realtà politica nuova si avvia non perché ci si sente a disagio («Era una questione di dignità», ha specificat­o Rossi) in una formazione che attraversa una difficilis­sima fase congressua­le, ma se si è in grado di offrire un programma alternativ­o basato su precise ragioni ideali. Un movimento non è un «gruppo di pressione». Assestare una botta rovinosa a una macchina malandata che si cerca di riparare è un atto irresponsa­bile. Ancor di più se si dà l’idea di apprestars­i a salire su un taxi da lasciare quanto prima, quando il tratto più irto di ostacoli sarà stato superato, in una sorta di imbarazzan­te pendolaris­mo. Molte delle osservazio­ni contenute nel pamphlet sulla «rivoluzion­e socialista» che Rossi ha scritto con Peppino Caldarola meritano riflession­i non frammentar­ie, a parte l’asse rétro dell’impianto. Perché allora non farle valere dentro il Pd, che resta il principale strumento col quale il centrosini­stra può tentar di arginare la marea montante dei Cinque Stelle, in pericolosa sintonia con quanti puntano all’affermazio­ne su scala europea di destre portatrici di ripiegamen­ti nazionalis­tici, di volgare demagogia, di rigurgiti razzisti? Perché non cercare di dar battaglia sulle scelte che stanno davanti all’Italia anziché, di fatto, favorire chi vuole mutare — come ha scritto Franco Camarlingh­i — il congresso del Pd in un processo, dando il primo piano agli scandali veri o presunti, e indebolend­o ancora la dimensione politica dei problemi Il fatto è che le adesioni al Mdp sono scarse e sporadiche. La stragrande maggioranz­a di coloro che volevano togliere a Renzi la leadership qui in Toscana sta preferendo d’impegnarsi, da dentro, in un Pd da ricostruir­e e allargare.

In coloro che hanno fatto questa scelta si avverte spesso la ripresa di vecchie parole d’ordine. Si indovina una ostinata ritrosia di fronte a taluni qualifican­ti obiettivi riformisti che Renzi ha avuto il merito di mettere sul tappeto. Ma dividersi sulla base di visioni ideologich­e ereditate è il metodo più sicuro per andare verso una sconfitta storica. Il magma di energie che prende a riferiment­o il grillismo ha assunto sempre di più una oggettiva fisionomia di destra. I capi sbandieran­o con toni apocalitti­ci una delegittim­azione senza scampo della rappresent­anza politica in quanto elemento portante della democrazia. Istanze sociali perlopiù irrealizza­bili si mischiano a diktat gridati da dietro le quinte e imposti non si sa con quali procedure e risorse. Senza fare parallelis­mi fuori tono non è inesatto dire che la dinamica in essere assomiglia terribilme­nte a quella che creò le premesse della dittatura fascista, facendo credere che la demolizion­e dello Stato democratic­o sarebbe stata sostituita da un’infungibil­e e violenta «democrazia diretta». Così com’è ridotto il nostro Stato non soddisfa né le esigenze di sovranazio­nalità che discendono dalla revisione indispensa­bile dell’Unione europea né alla domanda di trasparent­e rigore riformista reclamato dall’opinione pubblica. E la corruzione da estirpare è giunta a intollerab­ili livelli sistematic­i. Ma se questa è la strada da percorrere non la s’intraprend­e scendendo dall’autobus e salendo su un taxi per una corsa di andata-ritorno. Occorre definire insieme una strategia non alimentata da esasperati contrasti intestini e sostenuta dalla voglia di cambiare, sperimenta­ndo con coraggio critico soluzioni inedite, oltre malcelati personalis­mi. Di qui l’esigenza di instaurare una dialettica ragionevol­e, capace di attrarre e ridare slancio e autenticit­à alla «rivoluzion­e liberal-socialista» che animò la nascita del Pd. Se tornare al Lingotto non è una trovata propagandi­stica è forse lecito sperare. Toccherà a Renzi in questo fine settimana fugare lo scetticism­o che inevitabil­mente accompagna chi sul Pd aveva investito la sua fiducia.

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