«I nostri figli si sentono italiani Il Dna non c’entra con i genitori»
Il racconto della coppia fiorentina: difficile capire i ritardi del nostro Paese
Per gli amici, quelli di sempre, che hanno seguito tutta la storia fin dall’inizio, loro sono semplicemente «i due babbi». Babbo uno e babbo due. A Firenze li chiamano così e ogni volta che tornano da Londra per venire a trovare le famiglie di origine, è sempre una festa per tutti. Per i bambini, che hanno scoperto l’Italia con il suo cibo e i suoi paesaggi così diversi da quelli inglesi, per i nonni, per gli zii e per i cugini che hanno condiviso questa scelta.
Una lunga vita insieme, diciassette anni trascorsi tra Firenze e Londra. La scelta dell’adozione è stata quasi naturale cinque anni fa: «Abbiamo pensato che fosse giusto aiutare chi è stato meno fortunato di noi». Così è iniziata la lunga trafila nel Paese dove hanno scelto di vivere quasi dieci anni fa e dove potevano coronare il sogno di diventare genitori. Le domande, gli psicologi, gli assistenti sociali, gli incontri con i bambini che erano già stati allontanati dalla famiglia, la conoscenza dei genitori biologici, le visite in istituto, l’arrivo a casa, sempre sotto la sorveglianza dei servizi sociali, le prove di vita familiare.
«Che gioia sapere che i nostri figli adesso hanno gli stessi diritti degli altri bambini — dicono adesso — A noi sembra di aver fatto solo quello che era giusto fare. È stato faticoso — ammettono — ma ne è valsa la pena, anche se le difficoltà iniziali sono state più grandi di quel che pensavamo». L’Italia, dicono, è difficile da capire su molte cose, soprattutto sui temi che riguardano le famiglie omogenitoriali. «La scelta dell’adozione o della maternità surrogata è personale, nessuna delle due ha a che fare con l’orientamento sessuale. Per noi il dna non ha nulla a che vedere con l’essere genitori. Noi non sentivamo bisogno di ricorrere alla maternità surrogata quando ci sono tanti bambini che hanno bisogno di una famiglia. Un buon genitore adottivo lo è sulla base di qualità che trascendono dal suo orientamento sessuale. Fine del dibattito. E diamoci una mossa ad aiutare le migliaia di bambini italiani che hanno bisogno di cura e attenzione di una famiglia per sempre e non di assistenti sociali».
All’inizio pensavano ad un solo bambino ma quando la Corte inglese ha dato la disponibilità per due fratellini di 4 e 5 anni, non hanno avuto dubbi. I bambini fino a ieri ancora non sapevano di essere diventati cittadini italiani a tutti gli effetti. «Loro si sentono già italiani — racconta uno dei due babbi — è bene che lo siano anche sulla carta. Adesso entreranno a pieno titolo nel nostro asse ereditario e questo è un bel traguardo».
I bambini sono talmente innamorati del nostro Paese che ogni volta che arrivano qui chiedono di essere chiamati con il nome tradotto in italiano. È il loro modo per dimostrare la gratitudine a quei due uomini che il destino ha messo sulla loro strada e che stanno cercando di costruire una vita normale intorno a loro, quella che non hanno mai avuto. Nel loro passato c’è una famiglia disastrata fatta di sei figli, due sorelle più grandi che sono state date in adozione (separatamente) prima di loro, e due fratelli più piccoli che loro non hanno mai conosciuto perché quando sono nati loro erano già nell’istituto.
«Il nostro sogno più grande è vedere i figli crescere forti — raccontano — vogliamo dare loro la sicurezza e l’affetto di cui hanno bisogno, superando tutte le difficoltà». Che non sono state poche: «I primi tempi, per noi come per tutte le famiglie adottive, sono stati durissimi, ma l’importante è continuare nel ruolo di genitori terapeuti, tenendo a mente i miglioramenti e senza perdere mai l’ottimismo».
Che valore ha questo decreto? «È importante per il significato che può avere nel dibattito della legge sulle adozioni. Che è sicuramente inadeguata e deve essere rivista.
Non abbiamo mai sentito il bisogno di ricorrere all’utero in affitto, ci sono tanti bimbi che hanno bisogno di una famiglia