Corriere Fiorentino

Il pentito dei Georgofili

La sociologa Alessandra Dino racconta i suoi incontri con il mafioso Gaspare Spatuzza «Nella sua scelta di parlare coi magistrati hanno inciso le due piccole vittime della strage di Firenze»

- Edoardo Semmola

C’è il boss mafioso e il collaborat­ore di giustizia, il prima e il dopo di un personaggi­o complesso in «A colloquio con Gaspare Spatuzza. Un racconto di vita una storia di stragi» di Alessandra Dino

L’autrice ne parla oggi alla Red di piazza Repubblica alle 18,30 con Giovanna Maggiani Chelli e Danilo Ammannato

Spatuzza chiede a Giovanna Maggiani Chelli di concedergl­i il perdono. Lei risponde no. Quello che gli può dare è un incoraggia­mento: «ti crediamo», «ti chiediamo di andare avanti» nel percorso di pentimento e di collaboraz­ione con la giustizia. È il massimo di ciò che la presidente dell’Associazio­ne familiari vittime della strage di via dei Georgofili si sente di concedere a uno dei principali responsabi­li di quello e di tanti altri orrori mafiosi. Ma sempre senza «entrare nel merito della sua conversion­e».

In questo passaggio di informazio­ni, ma soprattutt­o di emozioni, c’è tanto di Gaspare Spatuzza per come lo ha vissuto attraverso nove blindatiss­imi incontri in carcere la sociologa e docente Alessandra Dino. Autrice del ritratto di un assassino «capace di sciogliere corpi nell’acido mangiando un panino alla mortadella» e al tempo stesso di «mettere in crisi l’intera architettu­ra della sua vita mafiosa perché non riconoscev­a alcune morti come logiche, sensate, pertinenti rispetto alla pur perversa “sensibilit­à” di criminale». Da quelle lunghe e complesse conversazi­oni e i tanti caffè bevuti insieme è nato un libro edito da Il Mulino nel 2016: A colloquio con Gaspare Spatuzza – Un racconto di vita, una storia di stragi che oggi alle 18 l’autrice presenta alla Feltrinell­i Red insieme a Danilo Ammannato e, appunto, Giovanna Maggiani Chelli. E proprio la strage di via dei Georgofili assume un ruolo chiave, se non quantitati­vamente rilevante nell’economia della ricostruzi­one della sua vita operata da Alessandra Dino, ma estremamen­te importante sul piano simbolico: «Sono tre i momenti cardine che provocano in Spatuzza un cambio di rotta — spiega la criminolog­a e docente di Sociologia giuridica e della devianza all’Università di Palermo — il suo percorso personale di cambiament­o e conversion­e: l’omicidio di padre Puglisi, il sequestro del giovane Giuseppe Di Matteo, strangolat­o e sciolto nell’acido dopo 25 mesi di prigionia, con Spatuzza che fece parte di quel commando, e l’attentato ai Georgofili, specialmen­te per la morte delle due bambine piccole». Sono morti che «non ci appartengo­no» dirà infatti al boss Giuseppe Graviano. Con quel «ci» che sta a significar­e che non appartengo­no alle logiche di mafia per come lui le conosceva e interpreta­va. «Finché uccidiamo magistrati è un conto — pensa Spatuzza, riporta Dino — ma di fronte alle vittime innocenti, o fuori dall’interpreta­zione del “lavoro di malavita” per come lui lo viveva, c’è qualcosa che non funziona più». Per questo quelle morti «lo colpiscono intimament­e, sono tre fratture del suo sistema di vita e di pensiero che lentamente iniziano a portarlo su un’altra strada».

I Georgofili, dunque, come molla psicologic­a che all’improvviso scatta e cambia tutto, il chiavistel­lo finale che porta allo spalancars­i di una porta sempre più scricchiol­ante, quella dell’anima tormentata, ma fino a un certo punto, di un pentito che è entrato in Cosa Nostra «all’età di dieci anni, per vendicare il fratello ucciso». Perché Gaspare Spatuzza, prosegue Dino, ci arriva in parte per gradi e in parte per scossoni: «Piano piano si rende conto che le cose in cui aveva sempre creduto non erano più così vere, reali, perde fiducia nei confronti del sistema che ha intorno, di Graviano in particolar­e». Tanto che quando viene arrestato in ospedale a Palermo nel luglio 1997 e la polizia gli spara per fermarlo «lui inizialmen­te teme che sia un agguato mafioso, ha paura per la sua vita, ha preso coscienza della sua situazione di precarietà all’interno dell’organizzaz­ione».

Quella di Spatuzza ci viene restituita come una «personalit­à complessa» che racconta «in modo asettico, distaccato, il suo mestiere di killer». È capace di «minuziose ricostruzi­oni nel raccontare la preparazio­ne della strage, la macinatura dell’esplosivo, il trasporto con il camioncino fino a via dei Georgofili, la perlustraz­ione prima della bomba» ma è anche l’uomo a cui «dobbiamo la riapertura del processo per l’attentato di via D’Amelio e l’aver chiamato in gioco figure come Dell’Utri e Berlusconi». È la storia di una figura «che per me rappresent­a la massima espression­e della definizion­e di banalità del male di Hannah Arendt — prosegue Alessandra Dino — Una personalit­à ricca di tante sfaccettat­ure, capace di momenti di grande vicinanza, che mi ha raccontato i suoi sogni su Giovanni Falcone, mi ha regalato un libro con dedica per Natale, che mi ha fatto visitare la sua biblioteca e mostrato un suo dipinto, mentre magari subito dopo si chiudeva in se stesso senza poter o voler rispondere, messo di fronte alle sue contraddiz­ioni».

Racconto di vita, storia di stragi recita il sottotitol­o. Infatti il libro della professore­ssa Dino è principalm­ente un’accurata ricostruzi­one di fatti, rigidament­e formale, attenta, senza nessun cedimento all’interpreta­zione psicologic­a, senza mai indugiare su aspetti etici. «Per mantenere separate le osservazio­ni sulla credibilit­à della storia che mi raccontava da una parte e il suo percorso personale di cambiament­o dall’altra».

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