Corriere Fiorentino

PROGRAMMI E STATUETTE

- di David Allegranti @davidalleg­ranti

Obama non va più molto di moda e ha lasciato in eredità Donald Trump e un nuovo ordine mondiale. Sicché dall’armadio della nostalgia urge recuperare per il Lingotto 2017 qualche altra statuetta: Bob Kennedy è perfetto perché è il testimonia­l della speranza, ancorché interrotta. Ma la speranza non può essere un rifugio. Uno degli errori di Renzi in questi anni è aver pensato che i sogni fossero sufficient­i a governare un partito e un Paese. Si può amare l’America senza farla per forza diventare una piattaform­a politica; si possono avere riferiment­i ideali, anche molto solidi, al progressis­mo americano, recuperand­one la parte migliore (non, evidenteme­nte, quella clintonian­a sconfitta alle ultime elezioni), senza per questo pensare che siamo tutti parte della stessa identità politica e culturale. Pensare che la realtà sia un frattale in cui tutto si tiene è pericoloso, perché ti porta a vedere collegamen­ti fra società complesse diverse anche laddove non ci sono. L’Italia non è l’America (certe volte non si capisce neanche se stia in Europa) e l’America non è la California della Silicon Valley. Non è ripetendo che fin qui va tutto bene, mentre si cade da un palazzo di 50 piani — come nel film L’Odio — che le cose migliorera­nno: «Il problema non è la caduta, ma l’atterraggi­o». Dove voglia atterrare Renzi ancora non è chiaro, ma magari lo diventerà da qui al 30 aprile. L’epoca degli slogan, delle suggestion­i storiche, dei virtuosism­i di Apple e delle storie imprendito­riali fantastich­e nate in qualche garage california­no, è finita. Sarebbe grave, per un leader come Renzi che ha colto lo spirito dei tempi per anni, non rendersi conto della crisi italiana, dello smarriment­o del Nord e delle depression­i del Sud. Invece che continuare a fare appello ai sogni, serve piuttosto un progetto politico pragmatico, preciso, rigoroso, contro la demagogia diffusa. Per farlo però bisogna che Renzi rinunci anche al suo populismo. La disoccupaz­ione, specie quella giovanile, dovrebbe essere il primo dei problemi da risolvere (basterà il «lavoro di cittadinan­za» di cui Renzi parla da qualche giorno?). È difficile volere un partito «smart» — parola che andrebbe abolita dal linguaggio politico-giornalist­ico — se non si è neanche capaci di dire qualcosa di solido, per esempio, sul duello fra Uber e i tassisti. Uno scontro che interpella vari ambiti della società di oggi, dall’impatto delle tecnologie sul lavoro alla necessità di uno Stato che non si faccia dettare le regole della concorrenz­a, e anche del vivere civile, dalle corporazio­ni. L’epoca — e l’epica — delle promesse è davvero finita.

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