PROGRAMMI E STATUETTE
Obama non va più molto di moda e ha lasciato in eredità Donald Trump e un nuovo ordine mondiale. Sicché dall’armadio della nostalgia urge recuperare per il Lingotto 2017 qualche altra statuetta: Bob Kennedy è perfetto perché è il testimonial della speranza, ancorché interrotta. Ma la speranza non può essere un rifugio. Uno degli errori di Renzi in questi anni è aver pensato che i sogni fossero sufficienti a governare un partito e un Paese. Si può amare l’America senza farla per forza diventare una piattaforma politica; si possono avere riferimenti ideali, anche molto solidi, al progressismo americano, recuperandone la parte migliore (non, evidentemente, quella clintoniana sconfitta alle ultime elezioni), senza per questo pensare che siamo tutti parte della stessa identità politica e culturale. Pensare che la realtà sia un frattale in cui tutto si tiene è pericoloso, perché ti porta a vedere collegamenti fra società complesse diverse anche laddove non ci sono. L’Italia non è l’America (certe volte non si capisce neanche se stia in Europa) e l’America non è la California della Silicon Valley. Non è ripetendo che fin qui va tutto bene, mentre si cade da un palazzo di 50 piani — come nel film L’Odio — che le cose miglioreranno: «Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio». Dove voglia atterrare Renzi ancora non è chiaro, ma magari lo diventerà da qui al 30 aprile. L’epoca degli slogan, delle suggestioni storiche, dei virtuosismi di Apple e delle storie imprenditoriali fantastiche nate in qualche garage californiano, è finita. Sarebbe grave, per un leader come Renzi che ha colto lo spirito dei tempi per anni, non rendersi conto della crisi italiana, dello smarrimento del Nord e delle depressioni del Sud. Invece che continuare a fare appello ai sogni, serve piuttosto un progetto politico pragmatico, preciso, rigoroso, contro la demagogia diffusa. Per farlo però bisogna che Renzi rinunci anche al suo populismo. La disoccupazione, specie quella giovanile, dovrebbe essere il primo dei problemi da risolvere (basterà il «lavoro di cittadinanza» di cui Renzi parla da qualche giorno?). È difficile volere un partito «smart» — parola che andrebbe abolita dal linguaggio politico-giornalistico — se non si è neanche capaci di dire qualcosa di solido, per esempio, sul duello fra Uber e i tassisti. Uno scontro che interpella vari ambiti della società di oggi, dall’impatto delle tecnologie sul lavoro alla necessità di uno Stato che non si faccia dettare le regole della concorrenza, e anche del vivere civile, dalle corporazioni. L’epoca — e l’epica — delle promesse è davvero finita.