Il nuovo stadio? Una fabbrica di sogni
Cosa può portare (numeri alla mano) il progetto della Fiorentina nell’area Mercafir
Uno stadio nuovo, all’altezza dei tempi, comodo, sicuro, dotato delle infrastrutture necessarie, di proprietà, se possibile bello, come quello presentato venerdì dalla Fiorentina, non è solo un incubatore di passioni, è anche, letteralmente, una fabbrica dei sogni. Un luogo cioè dove i sogni si evolvono in idee e poi in materia prima da lavorare e trasformare in realtà.
Scusate il ritardo. Vi fosse stata la possibilità di realizzare il progetto presentato nove anni fa, quando ancora nessuno in Italia ne aveva capito l’importanza, oggi la Fiorentina sarebbe già un bel passo avanti, magari con qualche trofeo in più in bacheca. Se, come ama dire il presidente Cognigni, il club viola ha ambizioni decisamente superiori alle sue dimensioni, uno stadio nuovo è il modo migliore per cominciare a ridurre questo gap, al momento assai rilevante. Perché, anche nel calcio, le dimensioni contano.
Uno stadio nuovo, all’altezza dei tempi, comodo, sicuro, dotato delle infrastrutture necessarie, di proprietà, se possibile bello, come in questo caso, non è solo un incubatore di passioni, è anche, letteralmente, una fabbrica dei sogni. Un luogo cioè dove i sogni si evolvono in idee e poi in materia prima da lavorare e trasformare in realtà. Detto in termini calcistici: una casa comune dove stringere ulteriormente i rapporti fra società, squadra e tifoserie; un’opportunità per moltiplicare i ricavi e attirare giocatori più bravi (il «chi si compra?» non sarà più solo una domanda troppo spesso retorica); una garanzia per ottenere risultati migliori.
Prendete la Juventus, ebbene sì. Il suo nuovo stadio è stato inaugurato l’8 settembre 2011. Nella stagione precedente, la squadra, allenata da Delneri, aveva concluso il campionato al settimo posto, fallendo persino la qualificazione alle coppe europee, mentre la società era scivolata al tredicesimo posto nella classifica dei fatturati europei, la posizione peggiore della sua storia, persino peggiore dell’anno del campionato di Serie B, poco più di 150 milioni di ricavi. Da quel giorno è cambiato tutto: addirittura cinque scudetti consecutivi, il sesto in arrivo, una finale di Champions, due Coppa Italia; e poi il ritorno fra i Top Ten d’Europa, con ricavi più che raddoppiati, ora superano i 340 milioni l’anno. Soprattutto una supremazia economica nazionale spaventosa: Milan e Roma oggi incassano cento milioni abbondanti in meno (Milan che nell’era pre Juventus Stadium fatturava 100 milioni più della Juventus), l’Inmabile ter addirittura la metà dei bianconeri. Per restare ai proventi da stadio, nel 2010-11 la Juventus era ferma a 11 milioni, oggi viaggia sui 45, un aumento cioè del 309%. Nonostante il vecchio Delle Alpi avesse una capienza di oltre 67mila posti, mentre il nuovo impianto non può ospitare più di 41.500 spettatori (e questo probabilmente è stato un errore, troppo pochi per poter competere con i grandi club europei, un errore che la Fiorentina non sta commettendo, i 40.000 previsti sembrano perfettamente aderenti alle potenzialità).
Ma i semplici nuovi ricavi garantiti non sono tuttavia sufficienti a rendere l’idea dell’impatto positivo di un nuovo stadio sulla vita di una società calcistica, tralasciando qui i benefici effetti socio-economici generali, oltre alla riqualificazione urbanistica dell’area che lo ospita insieme alle altre nuove strutture progettate e all’attrazione turistica che può generare. Uno stadio di proprietà è un asset in grado di rafforzare il brand di una squadra e, magari, di attirare anche investitori dall’estero. Un club che già può fregiarsi della possibilità di rappresentare nel mondo una città come Firenze, domani si potrà presentare con un biglietto da visita in grado di aprire le porte di nuovi mercati, quelli oggi calcisticamente più la Cina, l’Estremo Oriente, i Paesi Arabi, l’America del Nord, aumentando così esponenzialmente le possibilità di ulteriori nuove entrate.
Certo, purtroppo si dovranno ancora fare i conti con la debolezza strutturale attuale del sistema calcio italiano. C’è un paragone che fa male. Quello con il Tottenham, un club in- glese che può essere considerato, per storia e bacino d’utenza (un’importante fetta del Nord di Londra), una specie di Fiorentina britannica. Vi sono affinità nell’albo d’oro: importante — 2 scudetti, 1 Coppa delle coppe, 2 Coppa Uefa — ma un po’ datato, gli ultimi successi risalgono al 1961 in campionato e al 1984 in Europa. Il suo stadio ha una capienza di circa 36 mila posti, molto meno del Franchi. Eppure oggi il Tottenham ricava da White Hart Lane 57 milioni l’anno, contro i 14 della Fiorentina, il 307% in più. Non solo. Ha entrate commerciali, al netto dei diritti tv, per oltre 83 milioni contro i 10 viola. Insomma una differenza incolricettivi, che deriva dall’appeal incomparabilmente maggiore della Premier League rispetto alla Serie A (e anche, a volerla dire tutta, da una migliore organizzazione societaria e da un management molto più efficace). Il guaio è che il Tottenham sta già costruendo un suo nuovo stadio, che sarà più bello di quello attuale, già niente male, e avrà una capienza ampliata a 61.000 posti. Insomma, le distanze cresceranno ancora.
Per questo non bisognerebbe perdere altro tempo. Il Rinascimento viola è tanto scenografico quanto urgente. Sia da un punto di vista estetico che strutturale e infrastrutturale, l’opera presentata è magnifica. La connessione wifi dell’intero impianto porrà lo stadio viola all’avanguardia rispetto a impianti già esistenti e ammirati per la loro modernità. La possibilità di garantire allo spettatore tifoso, oltre all’emozione di essere sul posto e sostenere la squadra, pure le opportunità spettacolari che avrebbe restandosene a casa, è uno degli elementi fondamentali per riportare la gente negli stadi. Museo, aree di gioco per bambini, zone relax, bar, ristoranti sono quel che ci vuole per dare al tutto una dimensione anche familiare. Il futuro viola è già cominciato. Purché nessuno ora si metta di traverso.