Da Togliatti al web 2.0 La voglia di Frattocchie
L’EX PREMIER E LA SCUOLA PER IL PD
C’era sempre una certa sacralità, data soprattutto dalla presenza dei dirigenti più importanti e da uno spirito pedagogico (ovviamente ideologico, anche se progressivamente sempre minore) che proveniva dalle stesse opere d’arte raccolte nella villa. Su tutte «La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio», la grande tela di Renato Guttuso nell’aula magna, dedicata all’epopea garibaldina, con Longo e Pajetta in camicia rossa, lo stesso Guttuso nelle vesti di un carrettiere ferito e l’apostata Elio Vittorini in divisa borbonica.
«Vittorini se n’è ghiuto e soli ci ha lasciato», Roderigo di Castiglia (alias Togliatti) e la rottura, nell’immediato dopoguerra, con il grande scrittore siciliano, raffigurato come nemico di Garibaldi: tanto per dire come si faceva la storia alle Frattocchie. Comunque, anche se da lì non sarebbero usciti fondamentali protagonisti della sinistra italiana, la scuola mantenne un’importanza per lunghi decenni: ancora negli anni Ottanta Berlinguer volle che l’incontro con l’inviso Craxi avvenisse nella mensa della villa, luogo simbolico della storia del Pci. Del resto nel movimento comunista le scuole di partito mantennero un certo ruolo (magari solo per tradizione che altro) perlomeno finché restò in piedi il legame con la madrepatria sovietica.
Mi viene in mente un episodio della metà degli anni Settanta che mi ha sempre divertito ricordare e che è la dimostrazione di quanto detto prima. Ogni federazione provinciale del Partito comunista doveva avere la sua Frattocchie, ma con il passare del tempo le scuole di partito locali erano diventate più un modo di dire che una realtà e per la Federazione di Firenze — che dopo Mosca, Leningrado e Modena era la quarta in assoluto — non era stato diversamente.
A un certo punto venne in visita ufficiale Ponomariov, altissimo livello della burocrazia del Pcus e responsabile per i partiti comunisti dell’Europa Occidentale. In quelle occasioni si svolgeva sempre un incontro del direttivo provinciale con l’ospite di tanto rango e il segretario politico descriveva meriti e problemi dell’organizzazione nell’affrontare i problemi locali. Tutto venne fatto, anche in quell’occasione, con grande serietà e ricchezza di dati, ma fu chiaro a un certo punto che all’illustre ospite della società toscana importava men che meno, anzi interruppe l’oratore e chiese quante fossero e come funzionassero le scuole di partito a Firenze e che rapporto avessero con le Frattocchie: nessuno ne aveva la minima idea e lo sconcerto fu totale.
Il segretario, non sapendo che pesci prendere, si rivolse a me (all’epoca responsabile culturale del partito) e, un po’ disperato, mi pregò di rispondere. C’era ben poco da raccontare, sicché reagii inventandomi ogni ben di Dio: avevamo chissà quante scuole, centinaia di quadri vi si formavano, gran parte di loro si perfezionavano poi alle vere Frattocchie, insomma per noi si trattava di un impegno fondamentale.
Una «menzogna vitale», avrebbe detto Ibsen, tanto vitale da rendere estasiato il membro del Politburo e da farmi passare come il salvatore della patria. Cose d’altri tempi, come la Frattocchie 2.0 e i nove mesi di gestazione per creare un provetto dirigente politico.
Dall’Urss a Firenze Un dirigente sovietico venne in visita e ci chiese: ma qui come formate i compagni?