Corriere Fiorentino

COL MENTO IN ALTO COME UN NOBILOTTO (DI CAMPAGNA, PERÒ)

- di Vanni Santoni

Avevo una volta una fidanzata che stava all’Isolotto. O almeno così credevo: una volta che glielo dissi, quella, tutta offesa, mi rispose«macché, io sto a Sof-fia-no!». Venendo io dalla provincia profonda — o, se vogliamo, dal contado — non potevo ai tempi comprender­e le sottigliez­ze socio-urbanistic­he connesse a questo o quel nome; se una traversa della via Pisana inoltrata poteva essere a buon diritto considerat­a tanto Isolotto quanto Soffiano, e forse casa sua sforava più nel primo che nel secondo, era anche vero che l’edificio in cui risiedeva non faceva parte di quel «piano edilizia popolare» da cui era sgorgato il quartiere frutto della legge Fanfani.

Cosa però fosse veramente Soffiano, mi ci sono voluti diversi anni per capirlo. Passando un giorno in via Pisana, mi incuriosì quella sorta di ingresso alberato sulla sinistra, che pareva suggerire qualcosa di fuori dall’ordinario. Nel suo piccolo lo fa: fin dai primi metri, l’accesso laterale di villa Strozzi fornisce la strada di un quarto di nobiltà che da solo può spiegare certe reazioni, ma quel che segue è ancora più inaspettat­o. Se girare un angolo a caso può ben rassomigli­are al trovarsi d’improvviso all’Isolotto (saracinesc­he di garage, panni appesi e cemento a gettate), per chi continua a dritto, la strada alza il mento in una sua specifica alterigia, simile a quella di un nobilotto di campagna. La torretta all’angolo di via Daddi non fa che confermare una simile impression­e, finché giunge il cimitero: all’inizio truce (non basta il cipresso se la struttura è moderna), poi più amabile con l’ingresso neogotico, che quasi invoglia a entrare. Chi lo facesse, potrebbe trovare uniti nella morte Artemio Franchi e Bruno Fanciullac­ci, ma non molto di più. Non siamo certo di fronte a un Père-Lachaise, e così si continuerà, in avanti. Ecco allora, d’improvviso, la campagna. Terrazzame­nti e serre e muri a secco, la strada che si restringe, i cavoli neri e il pollaio abusivo, topos ultimativo dei nostri colli. Alla curva, è campagna piena, potremmo essere a Greve, più che sulla Greve, e un cartello in cui la scritta «Firenze» è barrata verrebbe pure a confermarl­o. Ora, sì, davvero non rassomigli­a all’Isolotto: ma, invero, neanche a dove abitava la mia ragazza, là a due passi da via Pisana — e io, poi, per l’esser cresciuto dove la campagna c’è davvero, finisco per trovare più fascino nel brutale cemento fanfaniano.

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