Quando Siena processò la «Lotta» di Pasolini
Il 23 febbraio 1973 il tribunale di Siena processò Pier Paolo Pasolini, insieme con altre quattordici persone, per «istigazione all’odio tra le classi sociali» e «apologia di reato». Il procedimento era dovuto alla denuncia dell’avvocato Arturo Viviani, esponente di quella che all’epoca si chiamava la «maggioranza silenziosa». Oggetto del suo esposto era il ruolo del poeta come direttore responsabile di Lotta Continua, periodico spesso esposto a attacchi. In quel momento lo scrittore era senz’altro nel suo massimo momento di impegno politico; nel 1971 insieme Giovanni Bonfanti e Goffredo Fofi, aveva firmato un documentario di grande durezza, 12 dicembre, intitolato alla data della strage di piazza Fontana. La sua fama, peraltro, era sempre crescente in relazione al grande successo (e alle micidiali censure) della Trilogia della vita. Eppure, malgrado l’accusa, le relazioni con il gruppo extraparlamentare erano tutt’altro che semplici: nel 1973 Adriano Sofri parlando su L’Espresso della tragedia Calderon, da poco uscita, dichiara che «dal punto di vista politico la sua rilevanza è nulla». Pasolini venne assolto in quella stessa data, perché, come testimoniò il commissario Balsanti, alla data delle accuse non ricopriva il ruolo per cui era stato accusato. Di questa, e di molte altre paradossali vicende, dà conto il bel volume voluto da Laura Betti nel 1977: Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione e morte.