«Firenze tratti la scuola Zeffirelli come gli Uffizi Così potrà farsi perdonare»
Gianni Letta: trattato da corpo estraneo per il suo anticomunismo, il tempo gli ha dato ragione
«Bontà sua, uomo generoso, gli piacque la mia intervista. Ero un giornalista imberbe, un ragazzo. E lui era Franco Zeffirelli, il maestro. Che da quel giorno mi onorò con la sua amicizia». Sono passati quasi 60 anni da quel primo incontro e il giornalista-ragazzo Gianni Letta è diventato una delle figure politiche e istituzionali di primo piano del Paese. Quella «antichissima amicizia» si è «cementata nel tempo». Fino a quando, pochi mesi fa, Zeffirelli lo chiama e gli chiede di ricoprire il ruolo di presidente onorario del suo Centro internazionale per le Arti dello Spettacolo. Quello che sarà inaugurato a giugno nell’ex Tribunale di San Firenze e che raccoglierà, nella doppia funzione di museo e centro formativo, «l’eredità artistica di colui che oggi nel mondo è per Firenze e l’Italia — così lo definisce l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio — ciò che, con le dovute proporzioni, mezzo millennio fa furono Brunelleschi e tutti i più grandi del Rinascimento». Letta avverte Firenze: «È la tua grande occasione, come città natale di un tale genio, di raccogliere la sua lezione, valorizzarla, tramandarla. Dando a questo Centro la stessa importanza e centralità che hanno i principali musei cittadini». Ma è anche l’occasione per «farsi perdonare» di averlo considerato a lungo «un corpo quasi estraneo» a causa «dell’anticomunismo dichiarato del maestro, soprattutto in epoche in cui l’egemonia culturale dei comunisti creava miti e artisti che in confronto a Franco Zeffirelli erano di valore largamente inferiore».
Presidente Letta, come ha risposto all’offerta?
«Gli dissi che non mi sentivo all’altezza del compito. Perché non sono un artista e per questo ruolo occorre un grande nome. Gli ho consigliato di prendere in considerazione una candidatura di maggior valore rispetto alla mia». Zeffirelli come ha reagito? «Lui diceva a me di pensarci. Io a lui di ri-pensarci. Poi ho accettato, e ne sono molto orgoglioso. Anche se ho continuato a dirgli che il giorno in cui troverà qualcuno più adeguato, farò un passo indietro».
Quali piani ha per la sua presidenza?
«Non appena il maestro si sarà rimesso in forze verremo insieme a Firenze a presentare il progetto ed elaboreremo un piano di iniziative. Al momento è tutto prematuro. Ma abbiamo grandi ambizioni perché parliamo del più grande sogno di Franco Zeffirelli. Che dopo tanto tempo e fatica finalmente sta prendendo vita».
Per Firenze cosa pensa debba rappresentare?
«L’adempimento di un dovere innanzitutto. Quello di rendere omaggio a un uomo che ha saputo riportare i fasti di Firenze nel mondo al livello dei tempi del Rinascimento». Un dovere? «Di raccogliere la sua lezione e tramandarla. Per questo è così importante la missione formativa oltre a quella museale. Non dobbiamo rimanere fermi sulle cose fatte ma impegnarci a trasformarle in semi per gli artisti di domani».
Ritiene Firenze in debito nei confronti del maestro?
«Tutta la vita di Zeffirelli è stata piena di ostacoli. Un po’ per carattere, un po’ per motivi politici e ideologici, la cultura egemone lo ha sempre trattato come un “diverso” per il suo anticomunismo dichiarato. La festa per i suoi 80 anni nel 2003 fu emblematica». Cosa successe? «Fu organizzato un grande tributo all’Opera di Roma con ospiti da tutto il mondo. Ma fui sorpreso che le testimonianze più calorose, numerose e autorevoli venivano tutte dall’estero. La serata cominciò con un video messaggio della regina d’Inghilterra. Mi resi conto ancora una volta di quanto fosse più amato all’estero che in patria».
La situazione è cambiata. La città si è data da fare per realizzare questo suo sogno.
«Aver cambiato opinione fa onore a Firenze. Alla fine ha prevalso il buon senso. Anche perché la storia ha dato ragione a Zeffirelli, e anche a sinistra è maturato un giudizio meno severo».
Per questo è stato così difficoltoso chiudere la partita?
«Abbiamo prima tentato, insieme, di creare il Centro a Roma. Ma il tentativo fallì». Perché? «Avevamo individuato la sede, poi ci accorgemmo che il palazzo che avevamo scelto e che pensavamo fosse del demanio, era invece privato. Tra difficoltà logistiche e poi politiche per la caduta del governo, tutto svanì».
Avete provato prima a far nascere il centro a Roma?
«Gli lanciai la proposta, lui si era mostrato ben disposto. Ma sono lieto che Firenze abbia raccolto l’idea. Sarà una nuova gemma nel panorama artistico fiorentino». Cosa si aspetta dalla città? «È stato importante trovare una sede degna e bella come l’ex tribunale. Ma ora Firenze dovrà trattare il Centro Zeffirelli alla stregua dei suoi musei principali. Perché non esistono in Italia realtà di questo tipo, è un unicum assoluto per la sua specializzazione».
Pensa che si debba investire sul Centro alla stregua delle attrazioni principali della città, come fossero gli Uffizi?
«Fatte le debite proporzioni, perché gli Uffizi sono sempre gli Uffizi, sì...» Vuole lanciare un appello al sindaco in tal senso?
«Non ci sarà nemmeno bisogno di dirglielo».
Con Palazzo Vecchio ci sono stati momenti di frizione, si è corso il rischio che andasse tutto in fumo.
«È vero. È stata lunga e complicata, ma è tutto bene ciò che finisce bene. Non alimentiamo problemi che ci siamo lasciati alle spalle. Ora è tempo che si realizzi il programma».
Zeffirelli non ha mai nascosto una certa insofferenza nei confronti della politica fiorentina.
«Certe esternazioni fanno parte dei momenti di difficoltà e stanchezza, figlie della paura che svanisse tutto, sfoghi comprensibili. Adesso lo sento orgoglioso come non mai di essere fiorentino, contento di tornare e che la città abbia finalmente capito cosa fare».
Delle tante anime artistiche di Zeffirelli, a quale si sente più affezionato?
«È come regista di opera lirica che ha dato il meglio di sé. Se la sua mitica Bohéme della Scala continua ad essere rappresentata in tutto il mondo da 43 anni significa che è entrata nella storia come poche altre cose. Ma la sua arte più pura si è espressa attraverso il disegno».
Io presidente onorario? Non sono all’altezza, ma ho accettato. E presto sarò in città col maestro