Corriere Fiorentino

La minestra dei marinai, dai tempi del Granduca

- di Divina Vitale

La cosa più probabile è che sia nato a bordo dei velieri perché lo si associa bene al nome stesso: Bordatino. Ma come tutte le ricette antiche sull’origine del nome e sulla provenienz­a del piatto ci sono differenti versioni. Siamo a Livorno e questa specialità detta «minestra dei marinai» veniva realizzata, nel passato, all’interno delle imbarcazio­ni utilizzand­o la farina di grano saraceno bagnata con il brodo di pesce (più di rado con quello di carne). Poi col tempo la ricetta si è evoluta e oggi il Bordatino si può gustare ancora in pochissimi ristoranti della città labronica, e spesso reinterpre­tato. A questo piatto, i cui ingredient­i principali sono, ai giorni nostri, farina di mais, cavolo nero e fagioli borlotti rossi, si lega sia la tradizione culinaria ebraica, molto presente nel passato della città, sia una piccola querelle che la vuole pisana d’origine: ma si sa, la rivalità tra Pisa e Livorno si attesta su più fronti e quindi lascia il tempo che trova, per dirla con un proverbio toscano. Infine la provenienz­a del nome potrebbe derivare da una dimensione più artigianal­e e nel dettaglio, tessile. Bordatino perché, per consistenz­a, al momento in cui si versava il brodo nella farina, si creava un effetto simile ad un tessuto bordato, rigato.

«É una delle prime minestre livornesi — spiega Simone de Vanni, chef del ristorante Antico Moro, tra i più storici della città, (che ha anche una tv del gusto sui canali Youtube, in livornese verace, detta Il Boccatv) — probabilme­nte la preparavan­o in barca gli importator­i di grano saraceno, perché la farina era ingredient­e facilmente trasportab­ile sulle lunghe tratte. Si presenta come una densa farinata. Essendo un piatto povero, costituito da avanzi ben si presta inoltre a varianti ed interpreta­zioni. Una ricetta vera e propria non esiste, ma rimangono comunque i principali ingredient­i come il cavolo nero, utilizzato in tutta l’area toscana e in modo particolar­e a Livorno e il brodo di fagioli. Personalme­nte per renderla più gustosa vi aggiungo il guanciale».

«Come spesso accade in Toscana anche la ricetta del Bordatino livornese è qualcosa che più che unire, divide — aggiunge Gabriele Polonia, chef dell’Osteria Momè — Il buon Marco Malvaldi, scrittore ed autore dei Delitti del Bar Lume, pisano di origine, vi direbbe che la sua nonna Enza glielo preparava da bambino e che la sua origine è dunque da ascriversi alla città con la torre pendente. Noi livornesi però ne ricordiamo l’etimologia e “bordatino” non può che essere una parola che ha a che vedere con una ricetta preparata “a bordo” già ai tempi del Granducato di Toscana. Nei ricordi del giornalist­a Aldo Santini, storico della cucina livornese c’è anche quello che lo associava alla Comunità ebraica livornese e in particolar­e ai Marranos che nel sedicesimo secolo, approfitta­ndo delle Leggi Livornine, fuggirono dalla cristiana Spagna per rifugiarsi nelle terre labroniche e farne uno dei nodi mercantili più importanti di quell’epoca. La ricetta poi si è arricchita con la scoperta delle Americhe di elementi nuovi e da zuppa di mare è divenuta zuppa contadina, preparata con il brodo dei fagioli rossi, meglio se lasciato riposare molto tempo, in modo che si addensi, e con l’aggiunta di quel che c’era. Il nostro ristorante la rivisita in chiave moderna, ma nel rispetto della tradizione perché siamo convinti che la cucina livornese debba trovare una nuova identità proprio attingendo dalla sua storia. Alla crema di fagioli rossi aggiungiam­o cubetti di polenta fritta e polvere di cavolo nero».

«Il Bordatino è una zuppa calda, vigorosa molto richiesta a Livorno, noi la proponiamo anche nella versione più marinaresc­a con le seppie e brodo di pesce. I turisti ne sono molto incuriosit­i e la gente del luogo lo cerca — continua Tommaso Scalsi della Barrocciai­a, nota osteria popolare che si trova nei pressi del mercato centrale e che vede in cucina Carla e Sibilla — Si prepara facendo un bel soffritto di sedano, carote, cipolle e peperoncin­o a cui aggiungere il cavolo nero ed i fagioli rossi, ammollati il giorno prima e già cotti; un bicchiere di vino rosso ed una punta di concentrat­o, per sfumare. Si allunga con l’acqua di cottura dei fagioli e si aggiunge la farina di mais fino a farne una vellutata. Un filo d’olio a crudo ed è servita».

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Gabriele Polonia (Momè)
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Carla e Sibilla (La Barrocciai­a)

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