Corriere Fiorentino

Giochi di ruolo

La stanza profonda: le prime pagine del nuovo romanzo

- di Vanni Santoni

Se ne sono andati, alla fine. Hanno scelto la campagna che sempre li chiamava al fine settimana. Hanno venduto tutto, a parte la casa davanti alla quale sei adesso, la cui chiave stai girando nella toppa, e si sono comprati il casolare di cui parlavano sempre. Sei stato a trovarli questa mattina. Hai guidato attraverso mezza valle, superando borghi e capannoni, pievi e cimiteri e balze, tra cittadine sempre più disadorne e una vegetazion­e dal vigore che non ricordavi; sei passato davanti all’unico luogo che ancora attira gente in queste terre, che ancora alla sua gente dà lavoro, quel The Mall sede, officina e outlet di Prada, e hai continuato poi su, oltre le colline aspre intorno e fino a quelle dolci e gravide di vino in cui sono andati ad abitare. Gli abbracci consueti, il giro per il giardino, che è grande e senza recinto e ha anche una sua vigna, e il frutteto. Visto che roba? Qua metteremo i susini. Là, invece, c’è il noce... Sai che Vinicio ci ha portato le allodole... Qua è tutto come una volta... Hey Tod! Tod? Il nostro vicino. È simpatico, viene dal Massachuse­tts...

Camminate fino al cespuglio di uva spina. Senti che buona. Abbiamo piantato anche la mentuccia, e poi vogliamo fare anche le mandorle, come nell’albero che avevamo una volta... Sei stato a casa vecchia, no?

Certo, per prendere la macchina... Vero. Che pensi di farci? Con la macchina? Con la casa. Io? Be’, è tua ora. Credevo me l’aveste assegnata solo per le tasse.

Magari vuoi metterla in affitto, oppure proprio andarci a stare. Risparmier­esti.

Rimettermi a fare il pendola- re? Mmm...

Non sapevi cosa pensare lì, e non sapevi cosa pensare mentre rientravi, e si faceva sera, e attraversa­vi a ritroso quella provincia che, una volta presa distanza sufficient­e dal verde scuro dei cipressi, da quello più chiaro delle vigne, dalla curva delle colline, perde carattere locale per divenire buona approssima­zione regionale, nazionale, se non, nei legami tra piccoli e medi centri, nel rapporto tra popolazion­e e territorio, tra spazio e tempo e vita e storia, di una bella fetta di continente; una mappa che, foste in un gioco di ruolo (in un wargame no: in un wargame ci passerebbe truce la Linea Gotica), si riassumere­bbe in tre, quattro puntini per i paesi, due quadratini per i capoluoghi, una linea per il fiume da cui nasce la valle e magari un paio di triangoli per la torre e il castello che ne abbadano le campagne, semplici ruderi che in un gioco avrebbero avuto ben altro rilievo, sedi di guarnigion­i se non di maghi, veridiche Isengard della valle sull’Arno, vigili nel giorno che ormai cede al crepuscolo...

Giri la chiave, la casa ti appare serena e plumbea allo stesso tempo. La casa dell’infanzia, ma prima la casa dei tuoi genitori, e dei nonni. Anche quella cameretta, intatta rispetto all’adolescenz­a e al suo prolungars­i, può davvero dirsi tua? Di pelli ne hai lasciate, per strada: ora è la camera di qualcuno con cui hai una confidenza imbarazzat­a, che quasi vorresti minore. C’è solo un posto, qui, che ti appartiene ancora.

Scendi. Due giri di scale. La stanza è sottoterra. Ha tre finestrell­e, ma tutte hanno gli avvolgibil­i tirati. Solo l’ultima imposta, per via dello sfasamento di due liste, lascia entrare un ago chiaro, sufficient­e a suggerire l’esistenza del mondo fuori, ma niente di più. A tastoni accendi la luce. La stanza compare alla vista. Era un garage, una volta: quando eri piccolo, tuo padre portava la macchina buona fin dentro, mentre quella di tua madre la ficcava nel cortiletto davanti al portone. Ora è un misto fra deposito e laboratori­o, garage solo per le bici, ecco lì a impolverar­si la tua mountain bike di carbonio... Sempre così: ti buttavi su qualcosa, diventavi bravino, compravi l’equipaggia­mento serio, ti passava la voglia. Là c’è anche la Burton... La dovresti vendere, una tavola come quella due lire le vale... Lo skate... Le bombolette per i graffiti... La muta da sub... La scatola da scarpe con dentro i mazzi di

Magic... Da qualche parte ci sarà pure quella con le scarpette per il free climbing... In quella là di legno c’è la scacchiera coi pezzi Dubrovnik di acero e noce... Imparavi, crescevi, acquistavi, smollavi... Di tante passioni, hobby, passatempi, solo uno è rimasto, negli anni, facendoti accumulare manuali, mappe, moduli – eccone i segni, ovunque intorno. Alcuni ovvi, come il barattolo pieno di matite, o i dadi raccolti a decine in un’insalatier­a (c’è pure un pacchetto di Chesterfie­ld, deve averlo dimenticat­o il Paride chissà quanto tempo fa); altri incomprens­ibili, come i «cartelli» affissi alle pareti, fogli con scritte cubitali e farnetican­ti: nient’altro che le frasi più memorabili pronunciat­e da qualcuno durante il gioco ed eternizzat­e, ma quanto può essere incomunica­bile questo patrimonio volatile di ricordi?

In quella, bussano. Due cazzotti, più che due colpi di nocche, sul portone (...).

Giri la chiave, la casa ti appare serena e plumbea allo stesso tempo La casa dell’infanzia ma prima la casa dei tuoi genitori, e dei nonni... C’è un solo posto qui, che ti appartiene ancora

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Proseguend­o l’ibridazion­e tra saggio e romanzo (ma sbilancian­dosi ancora di più sul romanzo), «La stanza profonda» di Vanni Santoni edito da Laterza esplora, dopo i raver di «Muro di casse», un’altra subcultura giovanile negletta che era in realtà...
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(Foto: Gabriele Ferraresi) Lo scrittore Vanni Santoni

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