Renzi, che rischio l’inseguimento dell’elefante grillino
Beppe Grillo ha tolto il simbolo alla candidata sindaco del M5S di Genova, annullando il risultato delle «comunarie»: «Fidatevi di me», dice l’ex comico, chiedendo ai militanti di fare un atto di fede. Insomma, una sceneggiata. Laddove si dimostra che si chiama democrazia diretta perché c’è qualcuno che la dirige. I Cinque Stelle mostrano costantemente limiti e incoerenze.
E Renzi che fa? Anziché approfittarne, si mette in scia e prende le distanze dal governo e dal suo successore. I rapporti fra l’ex segretario del Pd e l’attuale premier Paolo Gentiloni non sono come quelli con Enrico Letta: fra i due c’era una diffidenza epidermica, nessuno si è mai fidato l’uno dell’altro fino in fondo (e i fatti hanno dato ragione a Letta, quantomeno). Ma le cose con Gentiloni, al netto dei rapporti cordiali, potrebbero andare nella stessa direzione. Renzi già ostenta segni d’insofferenza verso il capo dell’esecutivo, che di fatto è oggi anche il segretario del Pd, almeno fino al 30 aprile, quando ci saranno le primarie: dal cedimento del governo sui voucher a vantaggio della Cgil al patto Pd-Forza Italia per salvare Augusto Minzolini al Senato. Peccato però che non abbia detto nulla su Minzolini fino al giorno del voto, salvo poi stigmatizzare «l’inciucio» Pd-Forza Italia. Uno schema che l’ex segretario del Pd privilegia da sempre: non dice nulla su un argomento scomodo, aspetta di capire come la gggente potrebbe reagire e poi esterna contro chi ha preso quell’iniziativa.
Il problema è che così Renzi sta diventando un follower dei Cinque Stelle, anziché mostrarsi alternativo su tutto. Sicché se la prende con Gentiloni. Il perché è evidente: Renzi ha bisogno di un nuovo nemico. D’Alema e Bersani sono fuori dal Pd, può agitarli come spauracchio e irriderli dicendo che Bandiera Rossa è una «macchietta», ma non sono più centrali nella narrazione renziana. Non c’è più nulla da rottamare, sicché bisogna trovare qualcos’altro da mandare allo sfasciacarrozze. Il rischio ormai conclamato però è che Renzi stia per rottamare se stesso, inseguendo il M5s sul suo terreno di scontro. Già in campagna elettorale per il referendum aveva usato temi anti-casta e adesso sta adattando la sua comunicazione al nuovo contesto; però, usando il linguaggio grillino, si rischia di assumerne pure i contenuti. E un conto è utilizzare strumenti efficaci — come quelli messi a disposizione da Internet, anche se l’apertura di un blog sembra arrivare fuori tempo massimo — un altro è farsi egemonizzare culturalmente dal gentismo. «Pensare di battere i populisti scimmiottandone il populismo è una cavolata. O siamo altro, cioè riformisti, o abbiamo già perso», dice Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, renziano. Persino il lancio di «Bob», la piattaforma online, pare essere un’imitazione di quella del M5s, «Rousseau». Ma se nuovo nemico ha da essere, perché non possono essere i Cinque Stelle?
«Negli studi di comunicazione politica — ci dice Mattia Diletti, docente di Scienza Politica all’Università La Sapienza di Roma — esiste una cosa che si chiama issue priming, secondo la quale alcuni temi, nella mente dell’elettore, vengono associati a un campo politico piuttosto che a un altro. Prendendoli in prestito, stai favorendo la costruzione di un’agenda di quel campo politico. E vale pure per Renzi, così come per il ministro dell’Interno Marco Minniti, richiamando l’agenda della destra quando si presenta come il principe del “legge e ordine” contro gli sfigati delle metropoli. A Renzi suggerirei di leggere il solito classico di George Lakoff, linguista americano autore di Non pensare all’elefante, nel quale consigliava ai progressisti americani non inseguire l’agenda dei repubblicani. Mi pare che l’ex segretario del Pd abbia un cruccio politico; ha bisogno di un nuovo elettorato nel quale sfondare. Prima era quello berlusconiano, ora è diventato quello grillino».
Solo, spiega Diletti, «che non si costruisce così facilmente un campo di riferimento. Renzi ne ha uno suo, ormai abbastanza definito; in più bisogna tenere conto l’erosione a sinistra, e non sappiamo quanto sarà consistente. Gli “spin” sono fondamentali, ma non bastano. Devi avere credibilità e per costruire un progetto serve tempo, ma forse Renzi questa volta non ce l’ha per davvero». Quindi non gli resta che diventare paladino della «gggente».
L’ex premier insegue i Cinque Stelle sul loro terreno rischiando di diventare solo un loro follower