Philip 1776
Mazzei, il toscano che fece liberi tutti gli americani
Che nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, proclamata il 4 luglio 1776, ci fosse la mano di un toscano lo scoprimmo nel 1980, quando le Poste americane e quelle italiane emisero un francobollo dedicato allo stesso personaggio. La versione americana mostrava un ritratto colorato di un uomo del Settecento col parrucchino bianco e la dicitura Philip Mazzei, Patriot remembered; in quella italiana si vedeva un profilo, scolpito in un medaglione di marmo stile cimiteriale, e la scritta Filippo Mazzei, 17301816. Nient’altro.
Già questo la dice lunga sul perché tutt’oggi la maggioranza degli italiani ignora che fu proprio questo toscano, nato a Poggio a Caiano (Prato), l’ideatore di uno dei pilastri della Dichiarazione di Indipendenza americana: «Tutti gli uomini sono stati creati uguali». A riconoscere che tale principio uscì dalla mente di un italiano fu, nel 1958, il futuro presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy che, nel testo A Nation of Immigrants, scrisse che il copyright di quel «nobile precetto» non era di Thomas Jefferson, ma dell’immigrato Filippo Mazzei. La sua storia è straordinaria, anche se in bilico tra un’incontenibile voglia di mettersi in mostra e un egocentrismo smodato; come quando nelle sue Memorie scrive: «Non ò mai voluto che in verun luogo si domandasse: ‘perché ci è il Mazzei?’ Ma piuttosto‘perché non ci è il Mazzei?’».
Filippo nasce il giorno di Natale del 1730; segue gli studi di medicina all’Ospedale di Santa Maria Nuova, finché viene espulso come miscredente. A vent’anni decide di trasferirsi in Sudamerica, ma alla fine sceglie di andare a fare il medico a Smirne, in Turchia. Per cinque anni, poi, s’imbarca come medico di bordo su un veliero corsaro inglese diretto a Londra dove avvia un’attività commerciale con un certo Martin, che però muore di lì a poco facendogli giurare di aver cura di sua moglie Petronilla e della figlia Margherita. Filippo s’impegna e in breve la vedova diventa la sua amante. Certi commerci d’olio, formaggio e perle lo riportano in Italia, ma quando arriva a Firenze è costretto a lasciare il Granducato perché qualcuno lo accusa ingiustamente di avere importato un bastimento di libri proibiti per infestarne tutta l’Italia, e con la Santa Inquisizione c’è poco da scherzare. Solo quando cadono le accuse torna a Firenze dove spera di ottenere l’incarico di rappresentare il Granducato a Londra. Ma l’incarico non arriva e ci rimane male. Rientrato in Inghilterra riceve una lettera in cui gli si chiede di acquistare per conto del Granduca Leopoldo due speciali stufe progettate dallo scienziato e politico Benjamin Franklin, che si trova a Londra. Mazzei va a conoscerlo, trova le stufe e diventa amico dell’americano, che lo introduce nell’ambiente dei coloni d’oltremare a Londra. I nuovi amici ne apprezzano le idee su libertà e indipendenza e lo convincono a trasferirsi in Virginia, dove si prepara un futuro rivoluzionario.
Mazzei va in Toscana, dove spiega al Granduca Leopoldo il suo progetto di trasferirsi in Virginia e impiantare un’attività agricola stile Chianti. Per questo chiede l’autorizzazione a portare con sé una decina di contadini toscani. Il Granduca autorizza l’espatrio e Mazzei sceglie gli uomini, ma quando la partenza è prossima, i contadini cambiano idea perché s’è diffusa la voce che nel Nuovo Mondo cadono dal cielo stelle fiammeggianti che inceneriscono chi lavora nei campi. In tutta fretta Filippo ne trova altri disponibili a Lucca, e ingaggia anche un sarto affinché gli emigranti abbiano sempre i vestiti a cui sono avvezzi, compresa la giacca alla cacciatora che diventerà di gran moda tra i virginiani più eminenti.
Il 3 settembre 1773 Filippo Mazzei, la sua amante Petronilla, la di lei figlia Margherita, i contadini e il sarto s’imbarcano a Livorno e alla fine di no- vembre raggiungono l’America. Tra i primi a salutare i nuovi arrivati c’è George Washington, e pochi giorni dopo Filippo incontra Thomas Jefferson nella sua tenuta di Monticello, vicino Charlottesville. Tra il Toscano e Jefferson nasce un’amicizia che durerà nel tempo. Il futuro presidente convince Filippo a comprare un terreno confinante con la sua tenuta, e lo ospita mentre Mazzei fa costruire la sua villa. L’anno dopo Mazzei fonda l’azienda agricola Il Colle, diventa cittadino della Virginia e, su insistenze del puritano Thomas Adams, sposa Petronilla, che però giudica inadatta a far da moglie, orgogliosa e vanitosa com’è. Ha quarantatré anni e scrive articoli libertari per The Virginia Gazette, firmandoli Il Furioso; testi che inizialmente Jefferson traduce in buon inglese notando la frase «Tutti gli uomini sono per natura egualmente liberi e indipendenti. Quest’eguaglianza è necessaria per costituire un governo libero…». Un concetto che l’americano inserirà nella Dichiarazione affermando che «Tutti gli uomini sono stati creati uguali…».
La lotta per l’indipendenza è entrata nel vivo e nel 1778 Jefferson lo invia in Europa come agente della Virginia, per recuperare fondi e armi per la lotta. Dopo un giorno di navigazione il brigantino è intercettato da una nave corsara inglese e il novello agente segreto butta a mare tutte le sue credenziali, ma finisce ugualmente in prigione per qualche mese. Rimesso in libertà, s’imbarca un’altra volta per l’Europa e porta con sé anche moglie e figliastra. Nel 1783, terminata la guerra di Indipendenza, rientra in America. L’anno seguente torna in Virginia anche la moglie Petronilla, intenzionata a metter su casa, e subito Filippo decide di fare il viaggio inverso, lasciando definitivamente sia la Virginia sia la moglie. In Europa stabilisce nuove relazioni e nel 1788, col benestare dell’amico Jefferson, accetta l’incarico di agente del re di Polonia Stanislao II e si stabilisce a Parigi dove conosce la bella Giuseppina Vuy, una sarta di diciassette anni più giovane di lui che diventa la sua amante.
Poi rientra in Italia a Pisa, dove lo raggiunge l’amata Giuseppina. Filippo ha sessantadue anni e forse è felice. Per poco però, perché due anni dopo la donna s’ammala e in punto di morte gli fa promettere che sposerà la cameriera Tonina, quarant’anni più giovane di lui, perché non rimanga solo. Ma non fa ancora il pensionato. Comincia a firmare lettere, documenti e libelli con lo pseudonimo Pippo l’Ortolano, come Cincinnato; sposa la giovane Tonina che due anni dopo gli dà una figlia, Elisabetta; nel 1813 conclude le sue Memorie che saranno pubblicate trent’anni più tardi, in Svizzera. Muore il 19 marzo 1816, a ottantasei anni, ed è sepolto nella chiesa di San Gregorio Magno, nel cimitero di via Pietrasantina, dove pochi vanno a salutarlo.