Il giglio dei babbi ex Dc (e il Paese che aspetta l’arrivo del suo Ulisse)
Quadretto familiare: genitori alternativi e figlio in crisi discutono delle canne: «Caro, se un giorno quando sarai padre e ti accorgerai che tuo figlio si fa le canne come ti comporterai?». Lui deciso: «Lo prendo a schiaffi e poi chiudo la porta di casa: non lo farò più uscire con gli amici finché non smetterà di fumare».
Ecco: la mancanza del padre porta dritto al padre-padrone. Anche la politica, anche noi cittadini assomigliamo a Telemaco. Aspettiamo il padre che non arriva. Dove per padre si intende la sintesi tra autorità e libertà. È questa la cultura che dovrebbe permeare la politica. L’autorità non come autoritarismo ma autorevolezza, senso dei doveri collettivi, rispetto delle regole e la libertà come riconoscimento dei diritti individuali e collettivi. Già il politologo Gianni Baget Bozzo, nella sua monumentale storia della Democrazia cristiana, pubblicata negli anni Settanta da Vallecchi, sottolineava come la cultura della politica italiana, in particolare democristiana, fosse influenzata dalla figura della madre: comprensiva, indulgente, per cui «ogni scarafone è bell’a mamma sua». Influenza che è proseguita fino ai giorni nostri. Basti pensare a Berlusconi e all’esaltazione della sua mamma, la mitica Rosa, affettuosa e indulgente anche verso le trasgressioni sessuali del figlio secondo uno stereotipo maschile della donna vissuta nella duplice veste di madre e prostituta.
Nella sacra famiglia della politica, per fare qualche esempio, c’è stato finora posto per i fratelli (la patriarcale famiglia emiliana di Romano Prodi), per gli zii (Gianni Letta, lo zio affettuoso ma politicamente diverso dal nipote Enrico), per le figlie (la vistosa Marianna di Oscar Maria Scalfaro e la più discreta Laura dell’attuale Capo di Stato Sergio Mattarella), i figli (il terrorista Marco, rampollo dell’ex ministro Donat Cattin) e ora, con Renzi e il renzismo, anche per i padri. Anzi, trattandosi di toscani, per i babbi: Tiziano Renzi, Pier Luigi Boschi e Marco Lotti. Figura tipica, il babbo, del renzismo. Che si afferma nella Toscana dei piccoli paesi (Rignano, Montelupo Fiorentino, Laterina), delle piccole banche, cresciute all’ombra dei campanili, dei piccoli imprenditori, di quel cattolicesimo democratico tipico delle campagne toscane, anticomunista ma anche antifascista, tutto chiesa, sezione Dc e piccoli affari di paese. Legato alla famiglia e poco allo Stato. Dal giglio magico siamo così passati al giglio dei babbi ex dc, tra l’impiccione, l’ansioso e l’appartato, a loro modo molto materni. Tiziano è il padre che vede nel successo del figlio il successo che sognava di raggiungere lui stesso, come spesso accade anche nello sport, in una mescolanza di ambizioni e impicci impropri.
Marco è il bancario di paese che esibisce con orgoglio la carriera del figlio ma ai primi malrovesci si volta ansioso verso gli amici paesani e mette le mani avanti: «Io non sono come gli altri babbi». Infine Pier Luigi difende la figlia con lo scudo gelido, altero ma sofferto del silenzio, del suo stare altrove rispetto alle controversie politiche e mediatiche, confidando da cattolico nei tempi lunghi della provvidenza delle ragioni personali.
Non sono, i babbi del renzismo, con tutto il rispetto per i loro affetti e le loro storie, gli Ulisse che cerchiamo. E non lo è stato, almeno fino ad oggi, neppure Renzi e il renzismo, troppo presi da gigli magici e paterni. Ma il Paese di questo ha bisogno. Di Ulisse. Di autorità, libertà e giustizia. Questa è la sfida per la politica, ma anche per il Telemaco che è in ciascuno di noi. La sfida di non stare fermi come figli e cittadini ad aspettare Ulisse ma di mettersi in viaggio, affrontando, come ha sottolineato Recalcati, «il rischio e la bellezza della ricerca».
Complessi Noi italiani siamo in attesa del padre, cioè la sintesi tra autorità e libertà, che non arriva E la sua mancanza porta diritti al padre-padrone