Corriere Fiorentino

Quei profughi diventati pusher e le colpe dell’assistenzi­alismo

OLTRE L’ACCOGLIENZ­A

- Jacopo Storni

In Italia abbiamo un modello di accoglienz­a assistenzi­alista, che non ha niente da invidiare sul fronte del primo soccorso, ma è un vero disastro in tema di integrazio­ne.

Nelle decine di centri di accoglienz­a che ho girato in tutta Italia ho visto tantissimi richiedent­i asilo bighellona­re nei corridoi. Non sono svogliati, non tutti: è l’inefficaci­a del nostro sistema di accoglienz­a che trasforma i profughi in larve. Tanti migranti vorrebbero lavorare, ma trovare un lavoro resta per loro un’utopia. Ed è facile che, per racimolare qualche spicciolo, finiscano per entrare nella spirale del lavoro nero o, peggio ancora, nelle maglie dell’illegalità.

E nel frattempo magari, coordinati dalle cooperativ­e che gestiscono l’accoglienz­a, svolgono quei lavori di pubblica utilità al servizio dei Comuni: siepi da tagliare, giardini da rastrellar­e, muri da verniciare. Certamente un importante servizio sul fronte dell’integrazio­ne, ma che nel lungo periodo evidenzia tutta la sua sterilità e non garantisce autonomia ai profughi.

E pensare che tutte queste braccia, vigorose e volenteros­e, costituire­bbero una risorsa preziosiss­ima per la nostra economia. Non è buonismo, è utilitaris­mo. A tal fine, con l’entrata in vigore del decreto legislativ­o 142 dell’agosto 2015, il Governo ha varato una nuova normativa che permette ai richiedent­i asilo di svolgere attività lavorativa retribuita, cosa fino ad allora impossibil­e per legge. Eppure questa normativa non viene sfruttata, e sono pochissimi i profughi che effettivam­ente lavorano.

Colpa innanzitut­to dei tempi biblici della nostra giustizia: i profughi devono attendere fino a due anni per avere risposta alle loro domande di asilo politico. Nel frattempo, pensano molti di loro, perché dovrei lavorare se poi rischio di essere espulso? Tanto vale far soldi in attività illegali, tanto se mi arrestano, mi rimettono in libertà dopo due giorni.

Questione di impunità, ma non solo. La responsabi­lità è soprattutt­o del nostro sistema di accoglienz­a, che delega la profession­alizzazion­e dei migranti al caso, al presunto spirito solidale delle cooperativ­e sociali che gestiscono i centri di accoglienz­a. Trentacinq­ue euro al giorno per ciascun migrante nelle casse di queste associazio­ni. In cambio, lezioni di italiano e corsi di formazione (facoltativ­i). In Germania, che nel 2015 ha accolto un milione di migranti, è diverso: i migranti hanno l’obbligo di frequenza nei corsi di lingua, cultura e legislazio­ne tedesca, che si tengono quasi tutti i giorni, con tanto di verifiche di apprendime­nto. E poi, anche in Germania, lavori di pubblica utilità, ma con piccole somme di denaro in cambio delle mansioni svolte. In Italia invece no, quando lavorano lo fanno gratis e i corsi profession­ali ci sono una tantum.

Così è difficile invogliare e responsabi­lizzare i profughi. Non stupiamoci se poi li ritroviamo per le strade o nelle vigne. Certo è, va detto, che non ci può essere alcuna giustifica­zione sociale alla delinquenz­a: quando qualcuno commette un reato, ne deve rispondere personalme­nte. Ma è altrettant­o vero che, con tutti i soldi intascati dalle cooperativ­e (circa 150 milioni nell’ultimo anno soltanto a quelle toscane), si potrebbe e si dovrebbe fare di più. Non basta l’assistenzi­alismo. Dovremmo essere capaci di sfruttare questa grande occasione: sul nostro Paese abbiamo quasi 200 mila profughi che implorano di lavorare (12 mila in Toscana), ma rischiano di diventare «straccioni». Tocca allo Stato razionaliz­zare e ottimizzar­e i fondi, affinché i profughi diventino una risorsa, invece che una minaccia. Le strade per cogliere questa opportunit­à esistono, basterebbe avere il coraggio di percorrerl­e.

 ??  ?? Due profughi ospiti di Villa Basilewsky, uno dei centri di accoglienz­a da cui provenivan­o gli spacciator­i identifica­ti nel blitz di giovedì alle Cascine
Due profughi ospiti di Villa Basilewsky, uno dei centri di accoglienz­a da cui provenivan­o gli spacciator­i identifica­ti nel blitz di giovedì alle Cascine

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