MOZART A SCUOLA IL FLAUTO DI MICHIELETTO
Da giovedì il regista veneto porta al Maggio la sua rilettura del capolavoro: i protagonisti sono studenti alle prese con istruzione laica o oscurantista «Mi interessa la verità umana dei personaggi. Il vostro teatro? Una Ferrari»
Il regista che il mondo ci invidia, conteso dai più importanti teatri del globo e che molti indicano destinato a divenire lo Strehler del terzo millennio, il quarantenne Damiano Michieletto, è garbato e disponibile. Cresciuto a Scorzé, comune della città metropolitana di Venezia, vive a Treviso, si sente veneto nell’intimo, orgogliosamente veneziano, dice (e sideralmente lontano dal prototipo Liga Veneta, aggiungiamo noi). Sarà per la dolce cadenza veneta , sarà per questo suo credo che gli permette di creare regie d’opera mai scontate e, soprattutto, mai gratuite. «A me interessa cercare un’umanità nei personaggi. Devono avere una verità umana, è ciò che mi guida sempre. Sono consapevole di aver fatto tante produzioni, ma ogni volta bisogna ripartire come fosse la prima».
Giovedì 23 marzo arriva all’Opera di Firenze Die Zauberflöte (Il flauto magico) di Mozart, una coproduzione del Maggio col Teatro La Fenice, che porta la sua firma registica. Uno spettacolo andato già in scena a Venezia con enorme successo nell’ottobre 2015. Una regia che vi stupirà, poetica e geniale, come se vi strappassero una benda dagli occhi e vi catapultassero in quel mondo fiabesco, iniziatico, del capolavoro mozartiano, divenuto improvvisamente accessibile, qualcosa che ci tocca e ci riguarda da vicino. Perché diciamocelo, con tutti i suoi simbolismi, riferimenti massonici e altro, a noi contemporanei risulta difficile cogliere a pelle quello che musica e libretto ci vogliono comunicare. Così, bando ai pregiudizi, Michieletto trasferisce l’azione in una scuola, con una grande magica lavagna che guida i passi del romanzo di formazione di Tamino e Pamina, e tutto diventa miracolosamente chiaro e coerente. Con alcune vere (e divertenti) perfidie, come le tre dame divenute tre monache. «In quella favola volevo cercare qualcosa di significativo a livello umano e ho a mia volta fatto un’allegoria. Fra istruzione oscurantistica e laica. Ho
cercato di rendere questa allegoria poetica, ma comprensibile per il pubblico di oggi, con la contrapposizione fra un’istituzione che pretende la fede e non ammette discussione e il percorso proposto da Sarastro, che è esattamente l’opposto. Volendo, c’è un ulteriore livello, perché il Flauto Magico è stato composto negli anni della Rivoluzione francese, quando cambia il modello formativo. Ci sono citazioni di episodi legati alla storia della Chiesa, come quando Monastro brucia i libri. Ma anche se non si colgono questi riferimenti, la comprensione della vicenda non ne risente».
Il 26 aprile, poi, arriverà un altro spettacolo di Micheletto, quell’Idomeneo (ancora Mozart) creato per il Theater an der Wien e che, anziché all’Opera, andrà in scena al Manzoni di Pistoia. Che è un teatro molto più piccolo. «Infatti! Bene o male siamo riusciti a riadattarlo». Ma cosa pensa del nuovo teatro? «La situazione a Firenze è molto delicata, ma ha la fortuna di avere un teatro che, anche se non finito, è una Ferrari. Ma la Ferrari bisogna saperla guidare. Detto questo, il fatto di avere un nuovo teatro è un’occasione unica, facciamolo funzionare, la gente deve sentirlo come casa propria».
A proposito, si parla sempre più insistentemente dell’arrivo da Venezia alla guida del Maggio di Cristiano Chiarot che lei conosce molto bene... «Sì, lo conosco bene, ho fatto tante cose a Venezia, è un teatro che funziona come un orologio. A Venezia sento l’orgoglio delle masse artistiche, dei tecnici, di farne parte. E questo cambia tutto, è qualcosa che si avverte. Io cerco di essere ottimista nella vita e mi auguro che il rapporto fra il teatro e la città di Firenze si rinsaldi. Il senso del teatro te lo dà il pubblico, devono essere anche i cittadini di Firenze e la gente del teatro ad avere voglia di farlo vivere. È un’opportunità imperdibile».
Se gli chiedi prosa o lirica? (si è formato alla milanese scuola di arte drammatica Paolo Grassi) risponde: «Non sono mondi lontani, tutt’altro. Ora faccio molta lirica, forse mi piacerebbe tornare a fare un po’ di prosa». Anche se sogna il musical. «Ma ai teatri italiani non piace molto. Diciamo che sulla proposta avverto un po’ di snobismo».