Il collezionismo privato fa bene, non solo all’arte
Nel libro di Alessia Zorloni l’analisi di un’attività che in Toscana è ben radicata
L’arte non la fanno i ricchi, ma nasce soprattutto dalla ricchezza. Come per un ciclo biologico, però, prima o poi torna e ritorna «democratica». E il cambiamento che sta avvenendo anche nel settore delle collezioni private lo dimostra. La scelta di cultori e appassionati, un tempo collezionisti privati, sta nello stesso momento diventando un business che arricchisce chi lo fa, il territorio dove le collezioni si trovano. Ed a volte anche i musei pubblici.
Si è parlato di tutto questo (e di molto di più) a Palazzo Strozzi durante la presentazione del volume Art wealth management di Alessia Zolorni (Springer edizioni). Uno strumento per il «mecenate 2.0», o meglio, per il mecenate del terzo millennio. Perché il mondo sta cambiando: il 70% delle attuali collezioni private al mondo sono state costituite dopo il 2000, il 45% è in Europa ma ormai il 33% è in Asia: «La crescita dei musei privati ha coinciso con la crescita della ricchezza personale in tutto il mondo», si ricorda nella prefazione del libro curata da Barbara Tagliaferri di Deloitte (organizzatrice e sponsor dell’incontro a Palazzo Strozzi). L’attività dei collezionisti privati, si legge nei case studies portati dal testo, racconta di collezionisti che sviluppano le loro raccolte basandosi sui trend di mercati. Di collezioni che, soprattutto nei nuovi centri urbanizzati nei Paesi in via di sviluppo, aiutano ad incrementare il valore immobiliare delle aree circostanti. «Ci sono potenzialità inesplorate, in questo mondo» spiega Zolorni. Da questo nasce anche l’interesse di Deloitte: ci sono collezionisti che ne hanno fatto una attività business, con tanto di mutui contratti per aumentare il patrimonio di opere d’arte, che normalmente si ripagano facilmente il loro valore. Anche perché altri li affittano, oltre a far visitare la loro collezione. «Queste realtà nascono da una passione, ma possono diventare facilmente altro» insiste Zolorni. Senza dimenticare però il valore dell’arte, con alcuni «mecenati» che, per filantropia, donano parte delle loro opere a musei pubblici, oltre alla tendenza sempre più crescente di «aprire» i propri musei privati al pubblico. «Perché il collezionista ama condividere», spiega l’autrice. E in Toscana queste realtà sono già molto presenti.
Si va dalla nota esperienza del Parco di Celle, la collezione Gori, alla collezione Nunzia e Vittorio Gaddi a Lucca, passando dal Sensus di Firenze fino alla collezione Angela and Massimo Lauro di Città della Pieve. Ci sono poi ovviamente il Museo Gucci e quello Ferragamo. Ma l’arte si sposa anche col vino, come dimostrano le esperienze della Cantina Antinori (architettura contemporanea di Marco Casamonti sposata al vino e all’arte) o a quella del Castello di Ama. E proprio l’idea di unire «due bellezze, due piaceri», in zone dove l’architettura e l’arte storica è meno presente, (pensiamo alla Maremma) può essere uno dei futuri possibili per le collezioni private in Toscana, dove l’onnipresenza del passato artistico lascia spazi minori di azione e di immagine rispetto ad altri territori.