Corriere Fiorentino

LA SPINA DEI PROFUGHI

- di Enrico Nistri

Quando diciamo che gli extracomun­itari vengono nel nostro Paese per fare i lavori che gli italiani non hanno più voglia di fare, dovremmo ricordare l’aneddoto su un’emigrante russa che ai primi del ‘900 cercò di entrare negli Stati Uniti. Prima di ammetterla, l’ufficio immigrazio­ne la sottopose ad alcuni test d’intelligen­za, chiedendol­e tra l’altro se, per pulire le scale, sia meglio cominciare dall’alto o dal basso. L’immigrata rispose: «Se dovevo continuare a pulire le scale, tanto valeva rimanessi in Russia!». Non tutti gli immigrati la pensano così, ma un fatto è certo: chi lascia la sua patria, sottoponen­dosi a prove spesso indicibili, lo fa perché spera di migliorare la condizione sua o dei figli. Avvenne per gli italiani in Brasile, che dopo l’abolizione della schiavitù sostituiro­no spesso i negri nelle piantagion­i ma poi lavorarono per sé, e non per il «carioca»; è avvenuto anche a casa nostra. I primi flussi di immigrazio­ne hanno visto arrivare domestiche filippine e nigeriani per l’industria siderurgic­a, in un’Italia in cui la scolarizza­zione di massa diffondeva il rifiuto del lavoro manuale. Ma oggi la situazione è profondame­nte cambiata e sono sempre di più gli italiani che per pagarsi gli studi o arrotondar­e la pensione fanno le pulizie delle scale, mentre comincia ad affiorare una neoborghes­ia di immigrati di seconda generazion­e. In una congiuntur­a di questo genere quella del lavoro ai rifugiati è una questione spinosa. Aprire loro i canali dei lavori socialment­e utili, ambiti da molti italiani, rischia di scatenare una guerra fra poveri; lasciarli in una condizione di ozio assistito comporta vari pericoli, come quelli denunciati da Jacopo Storni nel suo intervento di domenica scorsa. Il più grave è quello di sospingerl­i verso attività criminali, per altro diffuse da un trentennio presso molti loro connaziona­li, i cui proventi costituisc­ono un guadagno netto per chi è alloggiato e nutrito a spese dello Stato. Una soluzione provvisori­a potrebbe essere prevedere per i rifugiati corsi obbligator­i di italiano e un impegno non più solo volontario all’interno delle strutture di accoglienz­a: nelle cucine, nelle pulizie, nella manutenzio­ne dei locali che li ospitano. Il vantaggio sarebbe duplice: diminuire il cosiddetto rischio morale, ovvero il pericolo di falsi profughi che vogliono solo sfruttare il nostro Welfare per fare i loro comodi, e ridurre le spese per l’accoglienz­a, che potrebbero divenire incontroll­abili. È umiliante dirlo, ma il mantenimen­to di un migrante costa oggi allo Stato più di quanto guadagna un professore di scuola privata.

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