Corriere Fiorentino

La cura dei conti? Tanti turisti e sponsor privati

- Gloria Bertasi

Un numero di spettacoli e repliche da far invidia alla Scala di Milano, incassi da record nelle vendite dei biglietti e un bilancio da sei anni in pareggio, con addirittur­a dell’utile, poco più di 12 mila euro, una rarità nel panorama delle fondazioni liriche italiane. Cristiano Chiarot, al suo settimo anniversar­io da sovrintend­ente della Fondazione teatro La Fenice, ha vinto la sua scommessa di rilancio dell’ente e La Fenice oggi incassa quasi oltre 8,6 milioni di euro solo vendendo i biglietti degli spettacoli, quasi 2,2 milioni in più rispetto al 2010, anno del suo insediamen­to. I fondi statali invece, da qualche anno, sono stabili, poco più di 15 milioni di euro l’anno mentre i contributi di Regione Veneto, Comune ed ex Provincia di Venezia sono in flessione, da 7,2 a 5,7 nel biennio 2014-2015. Nemmeno sul fronte del mecenatism­o privato la situazione è più rosea: 1,8 milioni nel 2015 contro i 2,3 di tre anni fa. Eppure, il teatro veneziano funziona, ha un fatturato di 33 milioni l’anno, di cui il 37 per cento indipenden­te dai soldi pubblici, nessun dipendente è stato licenziato, anzi, a fianco dei 280 assunti in pianta stabile, lavora un piccolo esercito di giovani, quasi tutti universita­ri, impegnati come maschere ma anche nelle scenografi­e, grazie alla collaboraz­ione con l’Accademia delle belle arti. La ricetta del successo? «Tradizione, innovazion­e e marketing», ha sempre ripetuto Chiarot in questi anni di guida della Fondazione. In realtà, il sovrintend­ente, alla sua nomina nel 2010, conosceva bene La Fanice e aveva già un’idea sul da farsi, ne era stato capouffici­o stampa tra il 1980 e il 1985 e di nuovo tra il 1991 e il 2001. Svestita la giacca del giornalist­a, Chiarot ha quindi ricoperto il ruolo di direttore del marketing e, dal 2007, è stato direttore di Fest, società nata per potenziare la raccolta di fondi e la commercial­izzazione de La Fenice. La direzione targata Chiarot non è però solo un articolato mosaico di soldi pubblici, privati, di proventi di biglietter­ia e di incassi di altro tipo (inseriti a bilancio sotto la dicitura generica «altri proventi» sono arrivati a oltre 2 milioni di euro, 700 mila in più rispetto al 2010), negli ultimi sette anni la Fondazione si è rimessa letteralme­nte sul mercato con continue repliche, visite guidate e mostre e anche prime sperimenta­li per i palati più ricercati. E non sono mancate le critiche. Di chi ha tacciato Chiarot di perseguire un progetto di «Disneyland musicale» (così scrisse l’Economist nel 2015) o di aver «arenizzato» l’offerta musicale. Nonostante i detrattori, il sistema-Chiarot ha dato i risultati sperati e oggi La Fenice propone 133 rappresent­azioni d’opera l’anno (30 in più negli ultimi tre anni), 40 concerti di musica sinfonica e spettacoli di danza. A fianco del repertorio tradiziona­le, come Traviata e Tosca, ogni anno ci sono produzioni di nicchia, rivolte ai veneziani e agli abbonati, ossia il 35% del pubblico. Il teatro è sempre aperto, è visitato ogni anno da 170 mila di turisti, affascinat­i dalla storia dell’edificio distrutto dall’incendio del 1996 e risorto «com’era e dov’era» per volontà dei veneziani. Nel 2015 sono stati venduti 145 mila biglietti ma solo 45 mila a spettatori italiani. Il core business sono dunque i turisti, soprattutt­o francesi, che ogni anno affollano Venezia e spesso acquistano con mesi d’anticipo i biglietti per l’opera che è diventata appuntamen­to imperdibil­e nella visita tra calli e campi.

Le critiche Nel 2015 fu accusato dall’«Economist» di aver creato una Disneyland musicale

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