Jazz, blues, soul: lo stereotipo della pelle nera
Venerdì Stefano Zenni presenta il libro «Che razza di musica» con l’associazione 4quArti
Nino Ferrer aveva torto, spiega Stefano Zenni. Perché non è «il mio color che non va». Il canto, la musica, lo swing, il ritmo, «non sono questioni razziali o etniche, ma culturali: avere la pelle nera non c’entra niente». Sembra pleonastico ribadirlo ma fino a un certo punto perché «questo è uno stereotipo tra i più resistenti». Ne è talmente convinto Stefano Zenni, musicologo, docente di storia del jazz e composizione presso i Conservatori di Firenze, Bologna e Pescara, direttore artistico di uno dei festival più importanti della Toscana, il Metastasio Jazz a Prato, da dedicare al tema il suo ultimo libro: Che razza di musica (edizioni Edt). Dove affronta, da storico e da scienziato, il tema del razzismo nella musica. E risponde — a Nino Ferrer e a molti altri — a quanti ancora pensano che «i neri abbiano il ritmo nel sangue». «È tutto razzismo e basta, non c’è nulla di vero».
Il libro sarà presentato venerdì 24 marzo alle 20 nella libreria Marabuk in via Maragliano 29, in collaborazione con l’associazione e scuola di musica 4quArti, nell’ambito della serata «Il Jazz oggi, che razza di musica!». Dove si parlerà del libro e del disco Moksha Pulse di Umberto Tricca che si esibirà dal vivo. «Questo libro è il primo ad affrontare questo tema in Italia. Mentre in America il dibattito è ovviamente più vivo», spiega l’autore. «Da una parte, in una società ricca di tensioni razziali come quella americana degli anni Cinquanta e Sessanta, in cui chi era nero veniva ghettizzato, un afroamericano era naturalmente portato a esprimersi musicalmente in quel modo, era una scelta che assumeva il carattere di ineluttabilità. D’altra parte questa scelta, cementandosi nel tempo, diventava uno stereotipo anche all’interno della comunità nera, un marchio identitario». Ma la realtà è ovviamente diversa: «Tutte le culture sono fluide: pretendere che un nero suoni solo blues e jazz sarebbe come pretendere da un napoletano che faccia sempre e solo la tarantella tutta la vita. Chi lo ha stabilito?».
Il primo a sollevare il tema in chiave scientifica negli Usa è stato Amiri Baraka, poeta, scrittore e critico musicale del New Jersey che compie «un ragionamento critico culturale sulla rivendicazione dello stereotipo, sulla sua consapevolezza. Da allora il discorso non si è chiuso. «Anzi, complice i rigurgiti di razzismo con Trump, dopo il fallimento di Obama, anche il jazz sta tornando a chiudersi nel suo mondo mentre la realtà più libera è quella della mescolanza». Da qui nasce l’esigenza del libro: «Poiché le ideologie tendono a semplificare la realtà, mi sembrava utile, anche politicamente, mostrare il problema dal punto di vista di una pur piccola fetta della storia musicale del Novecento, per abbattere questa visione semplificata».