Corriere Fiorentino

«Nei panni del mio amico Veltroni»

Massimo Ghini debutta alla Pergola con «Ciao», tratto dal libro dell’ex segretario del Pd

- Edoardo Semmola

Walter Veltroni ha perso il padre, il famoso giornalist­a Rai Vittorio Veltroni, quando aveva un anno. Massimo Ghini ha visto i suoi separarsi quando ne aveva tre e «da allora ricordo una per una le pochissime volte in cui ho visto mio padre». Un politico, un attore, «la stessa situazione di nonrapport­o col padre – commenta Ghini – lo stesso dolore per motivi diversi». Si incontrano a 15 anni su un campo da calcio e da allora sono grandi amici. Più di mezzo secolo dopo l’ex segretario del Pd fa i conti con l’assenza del genitore attraverso un libro, Ciao (Rizzoli). Che con la regia di Pietro Maccarinel­li ora è diventato una piece teatrale in cui Ghini indossa i panni dell’amico.

«Walter, considerat­o l’argomento delicato, la fiducia nei miei confronti e la comune mancanza di un padre fin da piccoli, mi ha chiesto di interpreta­re la storia narrata nel suo libro. Si chiude il cerchio di due sofferenze parallele». Sarà la Pergola a portare questo spettacolo sul palcosceni­co in prima nazionale da venerdì 24 marzo al 2 aprile. Teatro che «sta attraversa­ndo un momento di grandi risultati», spiega il direttore Marco Giorgetti citando gli oltre 2.500 spettatori per Cantiere Opera di Elio e Francesco Micheli al Niccolini, i quasi 5.500 per le 20 repliche di Elvira con Toni Servillo, e il trionfo delle Sorelle Materassi con Lucia Poli che ha toccato gli 8 mila spettatori.

Ad affiancare Ghini-Veltroni c’è il giovane Francesco Bonomo che interpreta il fantasmaso­gno del padre Vittorio Veltroni morto a 37 anni. I ruoli si invertono: il figlio è l’anziano, il padre è il giovane. «Due mondi, due Italie, quella degli anni Cinquanta di Vittorio e quella contempora­nea di Walter, dialogano – spiega il regista Maccarinel­li – Si parla di memoria, di luoghi che hanno un’anima, di verità rimaste a metà». E tra le pieghe di una storia che è quasi totalmente intima, personale, «coraggiosa nella sua veridicità» e «spudorata nel suo mettersi in discussion­e» come la vede lo stesso protagonis­ta, si innesta il confronto tra due momenti storici, quello dell’adesione al fascismo e le domande sull’oggi: «Cosa sta succedendo alla nostra libertà, alla democrazia? Davvero si ricomincia­no a percepire segnali e suggestion­i terribili come allora?». È la domanda che lo stesso autore si fa. Che lo spettacolo recupera, intreccian­do il «racconto della relazione mancata di due persone al costume italiano di oggi e degli anni Cinquanta».

Domanda che lo stesso Ghini, le cui simpatie politiche di sinistra non sono mai state celate, cova dentro di sé. «A un certo punto del dialogo tra i due, il mio personaggi­o chiede al padre perché non fosse stato un capo partigiano. Mi sono commosso perché il mio lo è stato». Sentimenti politici e sociali corrono in parallelo con quelli più intimi e privati: «Non lo abbiamo trattato come un romanzo d’appendice ottocentes­co — scherza Ghini — Quel genere di romanzi che la sinistra rifiuta sempre, ma poi ci si ritrova immancabil­mente dentro». Martedì 28 alle 18 Walter Veltroni, Massimo Ghini e Francesco Bonomo incontrera­nno il pubblico nel foyer del Teatro. Coordina Riccardo Ventrella.

 Lo conosco da quando avevamo quindici anni, abbiamo condiviso lo stesso dolore di aver vissuto senza un padre E nello spettacolo mi chiedo che fine ha fatto la democrazia

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Veltroni e in alto da sinistra: Bonomo, Ghini e Maccarinel­li

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