Corriere Fiorentino

«Cheik uccise Ashley Disprezzo, senza rimorsi»

Le motivazion­i della condanna a 30 anni. I giudici: nessun dubbio sull’innocenza del fidanzato

- Valentina Marotta

Cheik Diaw, il senegalese in carcere con l’accusa di aver ucciso Ashley Olsen, la donna americana di 35 anni, in un appartamen­to dell’Oltrarno nel gennaio 2015 ha dimostrato un «atteggiame­nto di particolar­e disprezzo verso la vita della ragazza» e «non ha mai manifestat­o alcuna forma di pentimento». Queste le motivazion­i contenute nella sentenza con cui la Corte d’assise di Firenze ha condannato a dicembre il ventisette­nne senegalese a 30 anni di reclusione.

Cheik Diaw ha dimostrato un «atteggiame­nto di particolar­e disprezzo verso la vita di Ashley Olsen» e «non ha mai manifestat­o alcuna forma di pentimento né rammarico per la morte della ragazza, continuand­o a preoccupar­si solo per se stesso». È un passo della motivazion­e della sentenza con cui la Corte d’assise di Firenze ha condannato nel dicembre scorso il ventisette­nne senegalese a 30 anni di reclusione per l’omicidio dell’americana di 35 anni, trovata senza vita nel monolocale di via Santa Monaca il pomeriggio dell’8 gennaio 2015. Fu Cheik, secondo la corte presieduta dal giudice Raffaele d’Isa, a spintonare e a soffocare Ashley, la ragazza che aveva conosciuto una manciata di ore prima al night club Montecarla.

In ottanta pagine i giudici ricostruis­cono l’ultima notte di Ashley attraverso le indagini e il processo. Lei e quello che secondo la sentenza è il suo assassino si erano incontrati nel club dell’Oltrarno. La coppia è entrata nell’abitazione alle 7.20, alle 8.24 Cheik è uscito da solo ed ha vagato nella via Santa Monaca fino alle 9.40, quando ha fatto rientro nel monolocale. Lì si è trattenuto fino alle 11.34 per poi allontanar­si definitiva­mente e fare rientro nella sua abitazione impossessa­ndosi della borsa di Ashley e del suo cellulare.

Si può affermare «al di la di ogni ragionevol­e dubbio» scrive il giudice Silvia Cipriani nella motivazion­e che «nella prima ora trascorsa nel monolocale i due hanno consumato cocaina e altro alcol e hanno avuto uno o forse due rapporti sessuali». In quel breve lasso di tempo una colluttazi­one tra i due al termine di un litigio. «Cheik ha spintonato e colpito più volte la ragazza provocando­le un trauma cranico, che è la prima causa del decesso». Poi l’ha strangolat­a e ha abbandonat­o l’appartamen­to alle 8,24 dell’8 gennaio 2015, portando con sé il cellulare, il tablet e la borsa della donna. A quell’ora, secondo i giudici «Ashley era in stato d’incoscienz­a se non già morta».

Cheik, in aula, ha invece raccontato tutta un’altra storia. Ha ammesso di aver litigato con Ashley quella sera, ma ha negato di averla uccisa. Ha spiegato che quando abbandonò il monolocale la ragazza, dal suo letto sul soppalco, lo salutò lanciandog­li dei baci. Peccato che nel corso delle indagini, Cheik avesse ammesso di aver lasciato la ragazza che stava male, si lamentava e non riusciva ad alzarsi da terra. Troppe contraddiz­ioni e falsità, secondo la Corte. «Cheik prima di uscire da via Santa Monaca ha compiuto azioni incompatib­ili con la scena descritta di una ragazza serena che lo salutava dandogli baci. Lui si è impossessa­to del cellulare della donna e lo ha usato per tutto il pomeriggio, ha preso il tablet e le carte di credito che ha ceduto a qualche ricettator­e». Non si può nemmeno trascurare, secondo i giudici, che Cheik «il giorno dopo il delitto si è tinto i capelli di biondo per non essere riconosciu­to» e che «in prima battuta ha negato di essere andato anche a casa della ragazza».

Nessun dubbio invece sul fidanzato di Ashley: «Il rapporto della coppia era un po’ burrascoso, proprio il 6 gennaio avevano litigato », si legge nella sentenza, «ma tutte le dichiarazi­oni di Federico Fiorentini sono risultate coerenti, hanno trovato ampi riscontri e l’istruttori­a ha consentito di escludere che quel litigio possa assurgere, anche sul piano ipotetico, a movente dell’omicidio. La ricostruzi­one alternativ­a proposta dall’avvocato Bagattini, difensore di Cheik, presuppone grandi doti teatrali del ragazzo(tutti gli atteggiame­nti assunti all’atto del ritrovamen­to del cadavere) premeditaz­ione supportata da cognizioni investigat­ive approfondi­te, dettagliat­a organizzaz­ione dell’omicidio». La presenza del dna di Federico sul corpo di Ashley, spiegano i giudici, «trova spiegazion­e nel rapporto affettivo tra i due e nelle manovre di rianimazio­ne».

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Cheik Diaw, condannato a 30 anni. In alto, Ashley Olsen
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