«PROCESSO PENALE, PERCHÉ LA RIFORMA COSÌ NON CI PIACE»
Gentilissimo direttore, in questi giorni gli avvocati penalisti protestano, con l’astensione dalle udienze, contro la fiducia posta dal Governo sul Disegno di legge Orlando. Si tratta di una riforma del processo penale che ha preso le mosse dai lavori di una Commissione ministeriale cui hanno partecipato anche le Camere Penali: su quel nucleo si sono poi innestate tuttavia altre misure, più controverse, alcune oggetto di aspre critiche. Tra queste la norma sul «processo a distanza», che espelle fisicamente dall’aula d’udienza l’imputato detenuto, negandogli il diritto di partecipare personalmente al processo in cui si decide della sua responsabilità, spesso della sua vita. È sufficiente — si dice — che se ne stia in carcere, collegato via video. Chi ha esperienza del processo penale sa bene quale sia l’abissale differenza tra la partecipazione diretta e la presenza «virtuale» all’udienza: chi mai vorrebbe essere giudicato in un processo cui può assistere solo da uno schermo, senza potere interagire «dal vivo» con l’avvocato che lo difende? Una eccezione odiosa, che vale solo per l’imputato-detenuto, un cittadino di serie B mortificato nella sua dignità, un «quasireo» degradato ad ologramma in pixel, per il quale basta solo un simulacro di processo. «Ma così si risparmia»: non è vero, perché attrezzare adeguatamente le aule dei tribunali in cui si celebrano i processi con detenuti è molto costoso, e le carceri non dispongono di un numero adeguato di stanze attrezzate per ospitare singoli detenuti, ciascuno in collegamento con il singolo tribunale presso cui i diversi processi si celebrano. E se anche si risparmiasse, se anche fosse giusto impiegare così tanti soldi in questa straordinaria opera di informatizzazione anziché in interventi minimi di manutenzione delle carceri (per evitare che piova in testa ai detenuti, come accade a Sollicciano; o per garantire una doccia almeno tiepida, un lusso nel panorama carcerario italiano), resterebbe l’interrogativo: è giusto risparmiare sui diritti fondamentali? Sul Disegno di legge Orlando è poi piovuta anche la questione prescrizione: ed è stata risolta nel peggiore dei modi, cioè semplicemente allungandola. In barba alla ragionevole durata del processo, ciò significherà solo processi più lunghi, interminabili, a danno sia degli imputati che dell’intera collettività, perché un processo che impiega vent’anni per accertare le responsabilità non è un processo giusto, ma solo un peso inutile per la società. Certo, il tema è delicato, richiede il bilanciamento di più esigenze, e non a caso non esiste in occidente un modello unico di prescrizione: ma proprio per questo la discussione parlamentare è indispensabile. Il confronto in Parlamento è il migliore strumento di cui gli Stati democratici dispongono per legiferare in materie tanto nevralgiche. Il Governo, invece, ha scelto di soffocare ogni confronto col voto di fiducia: non si era mai verificato rispetto a riforme così complesse, che incidono in profondità sul processo penale. Le ragioni della scelta non hanno molto a che fare con il merito della riforma: si è solo consumato un regolamento di equilibri interni alla maggioranza, senza alcun rispetto per il metodo democratico. Per questo i penalisti «scioperano», e si asterranno nuovamente dalle udienze dal 10 al 14 aprile, quando il Disegno di legge Orlando tornerà alla Camera: con l’augurio che si arresti questa deriva antidemocratica, e si torni ad un confronto autentico su temi che riguardano i diritti di tutti i cittadini.