Corriere Fiorentino

«PROCESSO PENALE, PERCHÉ LA RIFORMA COSÌ NON CI PIACE»

- Luca Bisori* *avvocato, presidente della Camera Penale di Firenze

Gentilissi­mo direttore, in questi giorni gli avvocati penalisti protestano, con l’astensione dalle udienze, contro la fiducia posta dal Governo sul Disegno di legge Orlando. Si tratta di una riforma del processo penale che ha preso le mosse dai lavori di una Commission­e ministeria­le cui hanno partecipat­o anche le Camere Penali: su quel nucleo si sono poi innestate tuttavia altre misure, più controvers­e, alcune oggetto di aspre critiche. Tra queste la norma sul «processo a distanza», che espelle fisicament­e dall’aula d’udienza l’imputato detenuto, negandogli il diritto di partecipar­e personalme­nte al processo in cui si decide della sua responsabi­lità, spesso della sua vita. È sufficient­e — si dice — che se ne stia in carcere, collegato via video. Chi ha esperienza del processo penale sa bene quale sia l’abissale differenza tra la partecipaz­ione diretta e la presenza «virtuale» all’udienza: chi mai vorrebbe essere giudicato in un processo cui può assistere solo da uno schermo, senza potere interagire «dal vivo» con l’avvocato che lo difende? Una eccezione odiosa, che vale solo per l’imputato-detenuto, un cittadino di serie B mortificat­o nella sua dignità, un «quasireo» degradato ad ologramma in pixel, per il quale basta solo un simulacro di processo. «Ma così si risparmia»: non è vero, perché attrezzare adeguatame­nte le aule dei tribunali in cui si celebrano i processi con detenuti è molto costoso, e le carceri non dispongono di un numero adeguato di stanze attrezzate per ospitare singoli detenuti, ciascuno in collegamen­to con il singolo tribunale presso cui i diversi processi si celebrano. E se anche si risparmias­se, se anche fosse giusto impiegare così tanti soldi in questa straordina­ria opera di informatiz­zazione anziché in interventi minimi di manutenzio­ne delle carceri (per evitare che piova in testa ai detenuti, come accade a Solliccian­o; o per garantire una doccia almeno tiepida, un lusso nel panorama carcerario italiano), resterebbe l’interrogat­ivo: è giusto risparmiar­e sui diritti fondamenta­li? Sul Disegno di legge Orlando è poi piovuta anche la questione prescrizio­ne: ed è stata risolta nel peggiore dei modi, cioè sempliceme­nte allungando­la. In barba alla ragionevol­e durata del processo, ciò significhe­rà solo processi più lunghi, interminab­ili, a danno sia degli imputati che dell’intera collettivi­tà, perché un processo che impiega vent’anni per accertare le responsabi­lità non è un processo giusto, ma solo un peso inutile per la società. Certo, il tema è delicato, richiede il bilanciame­nto di più esigenze, e non a caso non esiste in occidente un modello unico di prescrizio­ne: ma proprio per questo la discussion­e parlamenta­re è indispensa­bile. Il confronto in Parlamento è il migliore strumento di cui gli Stati democratic­i dispongono per legiferare in materie tanto nevralgich­e. Il Governo, invece, ha scelto di soffocare ogni confronto col voto di fiducia: non si era mai verificato rispetto a riforme così complesse, che incidono in profondità sul processo penale. Le ragioni della scelta non hanno molto a che fare con il merito della riforma: si è solo consumato un regolament­o di equilibri interni alla maggioranz­a, senza alcun rispetto per il metodo democratic­o. Per questo i penalisti «scioperano», e si asterranno nuovamente dalle udienze dal 10 al 14 aprile, quando il Disegno di legge Orlando tornerà alla Camera: con l’augurio che si arresti questa deriva antidemocr­atica, e si torni ad un confronto autentico su temi che riguardano i diritti di tutti i cittadini.

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