Da 8 anni una raffica di dazi (Trump è solo l’ultima goccia)
Il presidente Usa ha messo nel mirino alcuni prodotti europei e vuole tartassarli, ma non è che il capitolo finale della deriva protezionistica generata dalla grande crisi Dai macchinari, all’enogastronomia, alle imbarcazioni: ecco cosa rischia la Toscana
Donald Trump, ma non solo. La rivolta scatenata dalle indiscrezioni del Wall Street Journal, in base alle quali il governo degli Stati Uniti sarebbe pronto a imporre dazi fino al 100% su alcuni prodotti europei (tra quali alcuni celebri made in Italy, tra cui la Vespa), ha riacceso i riflettori sulle misure protezionistiche che stanno rallentando il commercio mondiale. E potrebbero pesare anche sull’economia toscana, che nell’export trova buona parte del proprio valore. A ben guardare, però, l’innalzamento di barriere tariffarie e burocratiche è un processo che è iniziato nel 2008, all’indomani della crisi finanziaria globale, e nel 2016 ha registrato un picco. A tentare di proteggersi non sono soltanto gli Usa che guidano una classifica composta da numerosi Paesi, tutti aderenti al G20, il club dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali delle nazioni più industrializzate, nato dopo una successione di crisi finanziarie proprio con l’obiettivo contrario, cioè favorire l’internazionalizzazione dell’economia e la cooperazione.
Secondo uno studio di Sace, società della Cassa depositi e prestiti che assicura il credito per le esportazioni, negli ultimi sei anni i 13 principali player del commercio mondiale hanno introdotto complessivamente 4.432 misure protezionistiche: gli Stati Uniti sono in testa con 1.084 (praticamente hanno imposto un balzello ogni quattro giorni), seguiti da India (588), Russia (460), Argentina (326) e Brasile (271). L’Italia stessa ha adottato 207 misure di protezione. La prassi coinvolge anche i membri dell’Unione Europea: la Germania figura nella lista con 236 dazi e la Francia con 202. A quota 252 il Regno Unito pre-Brexit. Si tratta di partner strategici per la Toscana che, secondo i dati di Unioncamere aggiornati al terzo trimestre 2016, esporta beni e servizi per un totale di 8 miliardi: i principali mercati di sbocco sono la Francia e gli Stati Uniti (un miliardo di euro), la Germania (700 milioni) e il Regno Unito (450 milioni). Intensi gli scambi anche con Cina, Giappone, Brasile, India, Russia e Arabia Saudita. Tutti Paesi che figurano nella «lista nera» del protezionismo. Il panorama non migliora guardando ai comparti produttivi. Sace analizza i dieci settori più colpiti dalle barriere difensive che da soli rappresentano il 40% del commercio mondiale: svettano metalli e chimica, seguiti da prodotti agricoli, macchinari, cibi e bevande. Tutte attività economiche nelle quali la Toscana è molto attiva. Incrociando ancora i dati di Sace con quelli di Unioncamere, si vede che nel 2016 (terzo trimestre) la prima voce di export per la Toscana sono i macchinari (1,2 miliardi), seguiti da tessile e abbigliamento (1,2 miliardi), metalli (800 milioni), pellami (763 milioni), cibo e bevande (530 milioni), calzature (468 milioni), imbarcazioni (370 milioni) e prodotti chimici (327 milioni). L’alzata di scudi proviene quindi da partner commerciali strategici per la regione e colpisce settori fondamentali.
«Per quanto riguarda gli Stati Uniti, siamo al passaggio dalla retorica tipica della campagna elettorale all’azione di governo — dice l’economista di Sace, Alessandro Terzulli — dobbiamo capire cosa succederà esattamente ed è presto per stimare il reale impatto sulle esportazioni italiane e toscane». Al momento, Donald Trump ha firmato due decreti contro gli «abusi commerciali»: con il primo chiede al ministero del Commercio una verifica approfondita sulle cause del deficit commerciale e sull’impatto di politiche scorrette; con il secondo impone una restrizione dei requisiti di ingresso per le merci straniere negli Usa e la riscossione retroattiva dei dazi non pagati. Nel mirino di Trump c’è soprattutto la Cina, ma il timore è che le misure possano colpire tutti i partner commerciali degli Stati Uniti.
«È dalla fine del 2008, quando è partita la recessione globale, che assistiamo all’introduzione di un elevato numero di nuove misure protezionistiche, soprattutto da parte dei Paesi del G20, guidati dagli Usa — prosegue Terzulli — Se in un momento di crisi ci può stare che questo tipo di misure aumenti, ci aspettavamo una loro crescita fino al 2010 e un successivo rallentamento che invece non c’è stato. Queste misure sono ormai quasi permanenti e generano timori, anche al netto delle azioni del nuovo presidente degli Stati Uniti».
Spiega l’economista di Sace che «conta anche la qualità delle misure introdotte, non solo la quantità: assistiamo all’adozione non soltanto di dazi, come avveniva in passato, ma soprattutto di barriere non tariffarie che vanno dalla necessità di licenze e certificazioni, all’aumento delle formalità doganali, alla richiesta che ciascun bene contenga almeno una percentuale di prodotti locali. Sono costi indiretti ma importanti, e più difficili da stimare rispetto al semplice dazio».
A proposito della Toscana, Terzulli dice che «essendoci metalli, chimica di base e mezzi di trasporto tra i settori più colpiti, potrebbe subire qualche effetto in più rispetto ad altre regioni italiane. D’altra parte, l’agroalimentare, inteso come attività di trasformazione, non è particolarmente penalizzato e in questo comparto la regione è molto forte». Difficile quindi avventurarsi in stime e previsioni. Certo è che icone come la Vespa potranno difendersi meglio delle tante piccole e anonime aziende chimiche, meccaniche e metallurgiche prive di blasone ma fondamentali per la struttura produttiva regionale. La Vespa, poi, è il simbolo della dolce vita, appannaggio dei radical chic di San Francisco, quelli che hanno votato Hillary e che probabilmente continueranno a comprarla anche se il prezzo rincara. E mal che vada la multinazionale Piaggio, come ha detto il suo presidente Roberto Colaninno, gliele spedirà dal Vietnam. Diversa la faccenda per le Pmi toscane che vendono macchinari e solventi aziende dell’America profonda.
Terzulli (Sace) Tutto è iniziato quando è partita la recessione, ci aspettavamo che i dazi crescessero fino al 2010 per poi rallentare, ma non è stato così