UN FINALE SPIACEVOLE
La riunione del G7 della cultura a Firenze ha coinciso con il pensionamento di uno dei soprintendenti storici di Firenze e della Toscana: Paola Grifoni. Pura casualità, ma la coincidenza ha assunto un valore simbolico. Da una parte, l’incontro internazionale tra i rappresentanti dei Grandi, che hanno cominciato a rendersi finalmente conto che la cultura non è un orpello, e neppure un elegante optional, ma il mastice, il cemento della nostra civiltà, la sorgente della libertà che l’Occidente può rivendicare a se stesso nel confronto con il resto del mondo. Dall’altra, una funzionaria pubblica che dopo 37 anni di servizio allo Stato annunciava il suo ritiro lontano dai riflettori e tra molte amarezze. In mezzo l’Italia, coi suoi massimi esponenti di governo, compiaciuta per aver fatto valere il suo ruolo di culla culturale e al tempo stesso incapace di dire una parola di (vera) riconoscenza per chi ha difeso tanto a lungo quella cultura che è stata protagonista per giorni nella nostra città.
Nell’intervista concessa ad Alessio Gaggioli, che abbiamo pubblicato domenica scorsa, Paola Grifoni ha espresso giudizi anche parecchio severi, non necessariamente tutti condivisibili. Dalla riforma Franceschini alla gestione dei grandi musei fiorentini. Ma basterebbe ricordare quanto l’ex soprintendente ha fatto per evitare che i lavori dei Grandi Uffizi si trasformassero in un nuovo grande spreco di risorse per capire che la sua stagione è stata tutt’altro che insignificante. E come dimenticare l’impegno con cui, in un confronto serrato ma utile con il Comune, cercò di contrastare un degrado che sarebbe diventato presto dilagante, ad esempio con il via libera a tutti i più invasivi dehors del centro storico? Perché non dargliene atto?
Il proposito di valorizzare il nostro patrimonio senza limitarsi alla sua difesa è stato uno dei motivi ispiratori della svolta voluta dal ministro dei beni culturali. Verrà il tempo dei bilanci compiuti, ma le preoccupazioni dei vecchi «tutori» dei beni culturali dovrebbero essere usate per correggere le eventuali storture, senza considerarle — al di là di ogni intenzione — la prova di una contrarietà preconcetta.
Tassello dopo tassello, non è difficile ricomporre un quadro di progressive incomprensioni tra i vertici della piramide e la soprintendente che hanno provocato la freddezza del congedo.
Altrove non sarebbe successo. L’Italia è un Paese che non riesce a voltare pagina ringraziando chi era stato protagonista di quelle precedenti. È un Paese che non riesce a liberarsi da una concezione arrogante del potere, per la quale contano solo i rapporti di forza: quando arriva il momento del passo indietro non conta la riconoscenza, ma l’insofferenza per chi non ti servirà più. Né potrà più crearti problemi. E così ti concedono ancora un posto al concerto di Muti, ma «si ricordi, senza accompagnatore». Il concerto non prevede repliche, forse però — a Firenze come a Roma — ci sarebbe ancora tempo per evitare una pessima figura con Grifoni che lascia malinconicamente quei beni che le sono stati compagni da una vita. E che lei ha cercato di riconsegnarci nel migliore dei modi, per come le è riuscito.