La politica
Gli agricoltori contro il semaforo della Ue «Un’etichetta falsa»
I«diritti camerali», ossia le quote che ogni azienda paga annualmente alla Camera di Commercio, torna al centro del dibattito tra le imprese fiorentine. Sulla cifra da versare per il 2017 nei giorni scorsi si è consumato un duro scontro interno al consiglio della Camera che ha deciso, in sintonia con quanto accaduto a Roma e Milano ma in controtendenza con tutte le altre città toscane, di non cancellare il 20% facoltativo. La riduzione del 50% del diritto camerale annuale, decisa su base nazionale, non è in discussione: dopo il taglio del 35% nel 2015, salito al 40% l’anno successivo, nel 2017 le imprese fiorentine verseranno alla Camera di commercio 12,7 milioni, che senza la riforma sarebbero stati 25,4. Cna e Confcommercio avrebbero voluto cancellare anche l’ulteriore 20% del diritto camerale che ogni Camera ha la facoltà di inserire, come nel caso di Firenze che ha deciso di destinare queste risorse allo sviluppo dei progetti sulla digitalizzazione delle aziende e sull’alternanza scuola-lavoro. Due terreni che tutti gli studi indicano come fondamentali per garantire futuro e prosperità alle Pmi. Come si spiega, quindi, la contrarietà di Cna e Confcommercio? Per qualcuno le associazioni di categoria sono perfettamente in grado di offrire da sole servizi e progetti di diffusione digitale e della formazione in azienda: non c’è nessun bisogno che la Camera di commercio si sostituisca per creare dei doppioni inutili. Qualcun altro sostiene anche che la Camera utilizzi questi temi per prelevare risorse che servono solo all’ente stesso. Ma c’è chi la vede in modo diametralmente opposto, e sostiene con qualche ragione che spendere qualche centinaio di euro in formazione e digitalizzazione sia un investimento, non un onere eccessivo (e che se qualche azienda la pensa così forse non ha ancora capito dove va il futuro).