Toaff, Artom e gli altri Così i partigiani ebrei lottarono per la Toscana
I Valobra di Firenze: i quattro fratelli furono combattenti, le due sorelle staffette
Partigiani ed ebrei. Spesso in prima linea, con incarichi di alta responsabilità. Assoluti protagonisti della Liberazione del Paese dal nazifascismo. Furono all’incirca 2 mila in tutta Italia, come ha ricordato lo scorso anno Aldo Cazzullo alla vigilia di un altro 25 Aprile carico di veleni che ha tirato in ballo la memoria della Brigata Ebraica, il corpo formato da 5 mila volontari arruolatisi nella Palestina mandataria (il futuro Stato di Israele) cui va riconosciuto tra gli altri lo sfondamento della Linea Gotica nella vallata del Senio, in Emilia-Romagna. Una memoria spesso oltraggiata e strumentalizzata, che ha portato gli ebrei romani a discostarsi dal tradizionale corteo organizzata dall’Anpi (dove invece sfileranno le bandiere palestinesi). Una frattura dolorosa, ma inevitabile.
Duemila partigiani, arruolatisi dal Piemonte al Centro Italia. Un dato che ha un suo peso, per una minoranza numericamente esigua come quella ebraica. Anche la Toscana fece la sua parte, a partire da un trentenne livornese di sani principi che avrebbe conquistato uno spazio nella storia del Novecento e che domani Pisa (la città dei suoi studi) onorerà intitolandogli una passeggiata: Elio Toaff. Il giovane rabbino accolse senza esitazione la sfida posta in quei giorni drammatici. Una scelta che lo portò a contatto con l’abisso della crudeltà. I suoi occhi, gli occhi di un partigiano della Brigata Garibaldi X-bis «Gino Lombardi», furono infatti tra i primissimi a testimoniare i crimini compiuti a Sant’Anna di Stazzema. In alcune lettere inedite ritrovate di recente dal figlio Ariel, chiaramente emerge il peso dell’orrore vissuto ma anche la voglia di ricostruire, di guardare al futuro come a un tempo di nuove opportunità. Centrale fu anche il contributo dell’ebraismo fiorentino. Un gruppo di partigiani: i primi due in piedi a sinistra sono Enzo e Dante Valobra Su tutti vale l’esempio dei Valobra, quattro fratelli e due sorelle cresciuti a pane e antifascismo. Cesare, Enzo, Sauro e Dante combattono, Lea e Rossana fanno invece le staffette clandestine. Dante, membro del Partito d’Azione, è catturato dai fascisti e imprigionato a Villa Triste. Liberato grazie all’intervento di Elia Dalla Costa, il cardinale che lo Stato di Israele ha voluto tra i suoi «Giusti», si aggrega alla brigata partigiana Lanciotto. Il 29 giugno del 1944 è ucciso a Cetica, nell’Aretino. Spicca anche la figura di Alessandro Sinigaglia, cui il sociologo Mauro Valeri ha dedicato il libro Negro Ebreo Comunista. Sinigaglia era nato a Fiesole nel 1902, figlio di un ebreo di origini mantovane e di una cittadina statunitense di colore. Tornato a Firenze dopo anni di confino a Ventotene, con l’arrivo dei tedeschi in città si prende carico di organizzare e guidare una delle prime formazioni gappiste. Nel febbraio del 1944 cade vittima di un imboscata tesa dalla Banda Carità in via Pandolfini. Una targa ricorda oggi quel fatto di sangue. Fu partigiano anche un politico di spessore come l’esponente liberale Eugenio Artom, futuro consigliere comunale, ma anche futuro membro della Consulta nazionale e senatore della Repubblica. Braccato dai persecutori per via della sua identità ebraica, Artom ebbe salva la vita grazie al collega di partito Renato Fantoni che, d’accordo con la moglie Beatrice, lo nascose in una casa a Pian del Mugnone. Un’azione meritoria che ha portato Fantoni, come Dalla Costa, tra i «Giusti». Diversa invece la sorte che toccò al pisano Eugenio Calò. Vicecomandante della Brigata Garibaldi, si rifiutò di avallare esecuzioni sommarie nei confronti dei prigionieri tedeschi catturati tra le valli del Casentino. Quando fu lui ad essere catturato, non ebbe la stessa fortuna. Dopo l’interrogatorio, fu infatti ucciso. Per quanto riguarda la Brigata Ebraica, prezioso fu il coinvolgimento di tanti ex soldati nel rilancio di Comunità e istituzioni duramente provate dalla Shoah (a Firenze, ma non solo). Alcuni scelsero poi di viverci, in Toscana. Come Haim Abrahami, uno degli ultimi testimoni di quei giorni, scomparso qualche settimana fa in provincia di Lucca. Anche nel crepuscolo della sua vita, gravemente malato, non ha smesso di affrontare gli inciampi della sua difficile quotidianità a testa alta. Un vero combattente, fino all’ultimo.
La famiglia sul fronte