Il fiorentino... che balla coi lupi «Vi porto le meraviglie Lakota» Tra mazze e lance Sioux nella mostra del collezionista Martire
Quando si parla di America e cultura artigianale non si può non pensare al patrimonio di oggetti e manufatti dei Nativi. Un patrimonio immenso e poco conosciuto nella sua autentica dimensione storica e culturale che, grazie al professore e avvocato Alessandro Martire Brings Plenty, rappresentante in Italia della Nazione Sicangu Lakota, i visitatori della Mostra dell’artigianato di Firenze possono imparare a conoscere per la prima volta in una mostra etnografica. Copricapi in penne di aquila dei clan guerrieri Lakota e dei Dog Soldier Cheyenne, mazze da guerra in pietra, i famosi tomahawak con le lame in ferro, pugnali in pietra e in metallo del 1800, lance da guerra Sioux, scudi da guerra e oggetti della danza del sole sono alcune delle primizie da ammirare in Fortezza da Basso e che Martire, tra i principali collezionisti privati di manufatti dei Nativi delle Pianure, è pronto a illustrare agli interessati. «La mostra — racconta lo studioso che ha vissuto per anni nella tribù Lakota tanto da essere stato accettato come uno di loro — nasce dal voler inserire all’interno della sezione dedicata agli Stati Uniti, una testimonianza antropologica, culturale, storica e spirituale, dei veri americani cioè i popoli nativi che vivevano su quel continente da oltre 24.000 anni prima che Colombo ebbe l’assurda pretesa di aver “scoperto l’America”».
Ci racconti un po’ di lei fiorentino-indiano, si potrebbe dire.
«Sono nato a Firenze e sono l’ultimo discendente vivente di Pietro Martire D’Anghiera, storico , diplomatico alla corte di Ferdinando e Isabella di Spagna, e Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri, nonché autore del De Orbe Novo scritto sui resoconti diretti appresi dall’Amico Cristoforo Colombo sulla “presunta” scoperta dell’America. Da sempre ho maturato interesse per i Popoli indigeni del Nord America, tanto da decidere, dopo aver studiato alla Columbia University, di entrare in contatto con la Nazione Lakota Sioux, delle riserve di Pine Ridge e Rosebud. Un’esperienza che mi ha portato ad essere uno di loro e, una volta tornato in Italia e diventato avvocato a battermi per il riconoscimento della Nazione Lakota Sioux».
Una passione che lo ha portato anche a collezionare i rari manufatti esposti in mostra?
«Gli oggetti della mia collezione vengono da doni dei Lakota, scambi in riserva, acquisti personali e acquisti in aste internazionali. La mia collezione privata, assieme a quella Sergio Susani, uno dei massimi esperti sulla cultura materiale dei popoli nativi e Smithsonian’s Award, rappresentano le due collezioni fra le più importanti in tutta l’Europa. Il valore della mostra è antropologico, storico, culturale e spirituale. Anche grazie a un ciclo di conferenze didattiche che svolgerò nelle giornate della mostra intendo informare il pubblico interessato, circa una diversa “verità” antropologica culturale sulla “scoperta dell’America”, anche rivelare curiosità e affinità con il nostro territorio». Ovvero? «Parlerò ad esempio di come i simboli, il modo di dipingere i parfleches ( i contenitori in pelle animale) che dovevano essere appunti pitturati quando la pelle era accora bagnata e umida, siano un po’ come i nostri “affreschi”».
Quali sono i pezzi cult della mostra?
«Di sicuro il copricapo di penne di aquila del 1870, la replica degli oggetti utilizzati per il film di Kevin Costner Balla coi Lupi come quello in pelle di bisonte americano e la faretra per contenere arco e frecce, le lame in pietra del paleo-arcaico (circa 8.500 anni), alcuni oggetti utilizzati per il rito della danza del sole (che vediamo nel film degli anni ‘70 con Richard Harris dal titolo Un uomo chiamato cavallo).
La storia di Alessandro Dopo aver studiato alla Columbia University sono andato nelle riserve dei Nativi. Mi batto per il riconoscimento della loro Nazione Pezzi unici Da vedere l’antico copricapo di penne d’aquila del 1870, e la replica degli oggetti utilizzati per il film di Kevin Costner