Uccise il padre: Giacomo esce dal carcere
Due mesi fa la tragedia a Lucignano. Il gip: non ci fu premeditazione. Il ragazzo in una casa famiglia
Non è più in carcere Giacomo Ciriello. Il ragazzo di 18 anni che due mesi fa ha sparato e ucciso suo padre a Lucignano è uscito dalla casa circondariale San Benedetto di Arezzo, dove si trovava detenuto, per essere trasferito in una casa-famiglia in provincia di Prato. Perché serve un luogo per poterlo curare. Le sue condizioni vengono costantemente monitorate: è seguito da un medico e da una psicologa. Gli accertamenti, chiesti dalla difesa, serviranno a capire se Giacomo soffra di una specifica patologia. Dal 26 febbraio scorso, giorno dell’omicidio, il giovane si è infatti chiuso nel suo mondo fatto di libri e silenzi: ancora non è riuscito a spiegare i motivi che lo hanno spinto a impugnare il fucile e uccidere il padre con un colpo in pieno volto. «Ho fatto quel che dovevo», furono le uniche parole pronunciate davanti ai carabinieri subito dopo l’omicidio.
Giacomo Ciriello ha potuto lasciare il carcere perché il gip Anna Maria Loprete ha accolto l’istanza presentata dall’avvocato difensore Stefano Del Corto nonostante l’accusa, sostenuta dal pm Laura Taddei, avesse espresso parere sfavorevole. Dall’iniziale ordinanza di custodia cautelare in carcere sono cadute le due aggravanti ipotizzate dalla Procura: la premeditazione e i futili motivi. «La concertazione e l’esecuzione del crimine — recita l’ordinanza del gip che ha disposto l’ingresso di Giacomo in una casa-famiglia — è avvenuta nel lasso di poche ore, senza alcun progetto organizzativo e senza alcun sedimento pregresso di programmazione a livello esecutivo». Non è escluso che venga richiesta una perizia sulla capacità di intendere e di volere del giovane.
L’omicidio è avvenuto la notte a cavallo fra il 26 ed il 27 febbraio, nella casa colonica di famiglia a pochi passi da Lucignano. Il ragazzo ha aspettato che il padre tornasse dopo un’uscita in paese. Lo ha atteso sul pianerottolo con in braccio la doppietta, quel fucile che il babbo teneva in casa per sentirsi più tranquillo dopo aver subito un furto. La pallottola fatale ha colpito in faccia la vittima, uccidendolo sul colpo. Poi la telefonata ai carabinieri per denunciarsi: «Venite — avrebbe detto il ragazzo — sono Giacomo Ciriello, abito a Lucignano. Ho ucciso mio babbo». La vittima, Raffaele Ciriello, originario di Avellino, aveva 51 anni ed era titolare di una carpenteria metallica. Era molto conosciuto a Lucignano e a Monte San Savino. In pochi invece conoscevano bene il figlio, un ragazzo che sembrava chiuso, isolato, in perenne conflitto con padre e madre. E con se stesso.
Una storia, quella di Giacomo, segnata dal divorzio dei genitori, avvenuto pochi mesi prima dell’omicidio del padre, che nel frattempo aveva iniziato una nuova relazione con un’altra donna. Tensioni e scontri in famiglia erano all’ordine del giorno. Nulla però che facesse pensare a un gesto tragico come quello compiuto dal ragazzo. «Giacomo aveva dei problemi e nessuno lo ha capito — aveva detto monsignor Riccardo Fontana qualche giorno dopo la tragedia — Adesso piangiamo un uomo ma dobbiamo anche pensare che c’è un giovane da recuperare». Neanche il suo avvocato difensore, pochi giorni dopo l’omicidio, aveva saputo descrivere Giacomo: «È scosso, ma non so definire il suo stato. È glaciale, parla lentamente. Ha 18 anni ma è un bambino».