Corriere Fiorentino

L’EMOZIONE DI UN ABBRACCIO

- Aldo Cazzullo

Firenze è la patria morale degli italiani. Perché l’Italia ha questo di speciale: non è nata dai maneggi della politica o dai campi di battaglia; è nata dall’arte, dalla cultura, dalla bellezza; dagli affreschi di Giotto, dai versi di Dante, dal rinascimen­to. Quindi l’Italia è nata a Firenze.

Anche per questo trovo significat­ivo che Firenze festeggi il 25 Aprile, anche se fu liberata nove mesi prima. Anzi, fu la prima città italiana che si libero da sé, come riconobbe il Times di Londra. E il generale Alexander si avvide che gli italiani erano pronti a battersi e a morire per riconquist­arsi una patria. Era giusto celebrare questo giorno, anche per i tanti partigiani fiorentini e toscani che continuaro­no a combattere anche quando i tedeschi erano già stati costretti a lasciare la loro terra; perché valutarono che non sarebbero stati davvero liberi fino a quando un solo soldato di Hitler fosse rimasto sul suolo italiano. È stata una grande emozione parlare in piazza della Signoria, tra le copie di Giuditta e Oloferne di Donatello e del David di Michelange­lo. I fiorentini misero le statue all’ingresso di Palazzo Vecchio tra il 1494 e il 1504. Sono gli anni in cui si formano le grandi monarchie, gli imperi su cui non tramonta mai il sole. Firenze resta piccola. Ma collocando in un luogo civilmente sacro le statue di una donna che taglia la testa al comandante nemico e di un pastore che abbatte un gigante, manda un messaggio chiaro: noi continuere­mo a batterci per la nostra libertà e la nostra indipenden­za. Settantatr­é anni fa, i toscani e in particolar­e i fiorentini misero in pratica quell’antico insegnamen­to. È tempo di superare la lettura ideologica della Resistenza, il cui patrimonio di valori appartiene all’intera nazione, non a una fazione. La resistenza fu fatta dai partigiani, tra cui c’erano i comunisti della divisione Garibaldi Arno, comandata da Aligi Barducci, Potente (i partigiani qui avevano nomi bellissimi, da poema del Pulci: Bracciofor­te, Bellosguar­do, Formica, Vipera, Triglia, Balena, Lancia, Bufera...), cattolici, socialisti, monarchici, azionisti dalle venature anarchiche come Lanciotto Ballerini, macellaio di Campi Bisenzio, caduto in un’imboscata e sepolto da migliaia di toscani in faccia ai nazifascis­ti (che onore conoscere ieri in piazza suo nipote). E la Resistenza fu fatta dai civili. Dalle donne, come Anna Maria Enriques Agnoletti, torturata per la sola colpa di aver nascosto decine di perseguita­ti. Dai sacerdoti come don Ferrante Bagiardi, che quando vede che i nazisti stanno per fucilare 74 suoi parrocchia­ni sceglie di morire con loro, dicendo: «Vi accompagno io davanti al Signore». Dalle suore come madre Sandra e madre Marta, che salvarono i figli del rabbino di Genova Riccardo Pacifici. Da eroi popolari come Gino Bartali. Dai carabinier­i come i tre martiri di Fiesole — Vittorio Marandola, Fulvio Sbarretti, Alberto La Rocca — che vanno a farsi uccidere in una domenica di agosto, in un pomeriggio pieno di sole, per salvare la vita a dieci ostaggi civili che nemmeno conoscono. Dagli internati militari in Germania. Dai fucilati di Cefalonia. Dagli ebrei. E da tanti italiani senza nome, per i quali l’Italia era una cosa seria, un’ideale che valeva la vita. Finché avremo la fortuna di avere tra noi uomini come Silvano Sarti, 92 anni, cui il sindaco Nardella ha affidato la conclusion­e del 25 Aprile fiorentino, il meccanismo di trasmissio­ne della memoria continuerà a funzionare.

 ??  ?? L’abbraccio fra Aldo Cazzullo e il partigiano Silvano Sarti davanti al sindaco Dario Nardella (foto Cambi/Sestini)
L’abbraccio fra Aldo Cazzullo e il partigiano Silvano Sarti davanti al sindaco Dario Nardella (foto Cambi/Sestini)

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