Corriere Fiorentino

Bianche, brutte ma buone Le patate d’alta quota

REPORTAGE MELO, CUTIGLIANO

- Giulia Gonfiantin­i

CUTIGLIANO (PISTOIA) Per la patata bianca del Melo, piccola frazione nel Comune di Abetone Cuti gliano, a fare la differenza è la terra. Qualcuno fa risalire, però, la tradizione di questo prodotto agli inizi del secolo scorso, quando un emigrato in America in cerca di fortuna decise di tornare a casa, portando con sé un paio di tuberi di una varietà nuova, ricavandon­e dei semi. Il risultato: un gusto dolce e delicato.

«Ma la vera particolar­ità è dovuta al terreno», sostiene Giuseppe Corsini, titolare dell’agriturism­o Le Ron cacce e vicepresid­ente di Coldiretti Pistoia: «Quella varietà, comunque, è probabilme­nte andata perduta, anche perché pur essendo buona era molto incavata e brutta a vedersi: sbucciando­la, toccava buttare via parte della polpa. La patata di oggi è quindi frutto di incroci ma il sapore resta lo stesso grazie alle caratteris­tiche del suolo, fine e ricco di sostanze organiche. Qua intorno ci sono diversi allevament­i, perciò è usato il letame naturale». La patata bianca del Melo, infatti, viene coltivata e conservata senza l’utilizzo di trattament­i chimici. A farlo, a oltre mille metri di altitudine, sono rimasti in pochi: le ditte che ancora la producono si contano sulle dita di Andrea Alisi (Il Nonno Cianco) Giuseppe Corsini e Anna Signorini (Le Ron cacce) una mano, qualcuna in più se si considera l’intera valle.

Le Ron cacce, azienda agricola a conduzione familiare circondata da boschi e pascoli, è una di queste: si dedica inoltre all’allevament­o e alla produzione del latte fresco, che nel caseificio viene trasformat­o e utilizzato per i formaggi. «La produzione di tuberi nella zona si aggira attorno ai mille quintali all’anno — precisa Corsini — e la poca quantità è dovuta essenzialm­ente al fatto che ci troviamo in montagna: li seminano in pochi perché qui i terreni non sono pari, viene fatto tutto manualment­e e ciò, oltre a essere impegnativ­o, comporta anche spese consistent­i di manodopera». La semina avviene tra maggio e giugno, mentre la raccolta è al- l’inizio dell’autunno. Il prodotto, però, è utilizzato tutto l’anno. «Si presta ad esempio alla preparazio­ne degli gnocchi — spiega Anna Signorini de Le Roncacce — ed è consigliab­ile cuocerlo con la buccia, così l’amido non si disperde nell’acqua. Il piatto poi può essere condito con burro e salvia, oppure con ragù, funghi e sugo di cinghiale. Ma queste patate sono buonissime anche cotte sotto la cenere».

Ricca di amido e fosforo, di pasta bianca, la patata del Melo è buona anche se non bella: prodotta in modo completame­nte naturale, senza essere spazzolata né trattata, presenta irregolari­tà sulla superficie dovute alle asperità del terreno di montagna. Ma chi la conosce — specie i ristoranti e gli agriturism­i della zona — non bada alle apparenze. «A essere diversa è soprattutt­o la consistenz­a — afferma Andrea Alisi, del ristorante Il nonno Cianco di Cutigliano — perché la pasta è meno callosa e si adatta bene a qualsiasi uso in cucina, dal ripieno per i tortelli ai contorni per i secondi a base di maiale, agnello o capretto: è buonissima arrosto oppure prezzemola­ta (cioè lessata e condita con olio, aceto e prezzemolo). Insieme alle castagne, qui le patate sono sempre state un cibo povero, capace di sfamare intere famiglie e animali». Nel menu del ristorante spiccano le gonfiate, particolar­i gnocchi tipici: «L’impasto viene messo nell’acqua col cucchiaio — dice Alisi — ed è fatto con patate bianche del Melo, farina e uova, più noce moscata. Per poi essere condito con una salsa di formaggi: qui usiamo del gorgonzola alleggerit­o con il latte, ma è perfetta anche una crema di pecorino». Alla trattoria da Fagiolino, storico locale in centro a Cutigliano dal 1950, è proposta un’altra variante degli gnocchi, «che noi facciamo senza uovo — racconta il titolare, Luigi Innocenti — e che, in certi periodi dell’anno, condiamo con burro, un’idea di maggiorana e funghi affettati crudi, alla maniera del tartufo». Ma questo tubero così gustoso e profumato, la cui grana per Innocenti è «migliore delle altre presenti sul mercato», si presta anche a contorni particolar­i, come nel secondo piatto a base di capretto e patata del Melo fondente con lardo. «In questo caso la patata viene spennellat­a continuame­nte con il burro mentre cuoce in forno, intera e sbucciata e poi, una volta cotta, viene aperta in due e riempita con fettine di lardo. Che con il calore si strugge e si fonde con la patata».

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