Morire per andare dove?
Nel suo ultimo romanzo, «La scomparsa di me», Ricuperati gioca con la metafisica «Ho immaginato cosa sarebbe successo se mi fossi reincarnato nelle persone che ho conosciuto»
Gianluigi Ricuperati, torinese, classe ’77, intellettuale poliedrico, curatore nel campo dell’arte contemporanea, direttore della Domus Academy, saggista e romanziere, dopo Firenze il 3 maggio (ore 18) sarà alla libreria La Vela di Viareggio per presentare il suo ultimo libro La scomparsa di me, da poco uscito per Feltrinelli. Un romanzo che non ha paura di giocare con la metafisica, dato che si svolge nel «Bardo Thodol», quello che per il buddismo tibetano è lo spazio tra la morte e la reincarnazione. A morire però in questo caso non è un mistico ma un uomo dei nostri tempi, un individuo iperdinamico e abituato a muoversi lui stesso tra mondi differenti (e famiglie differenti, dato che ha tre figli da tre donne diverse).
«Certo — dice Ricuperati — c’è qualcosa di me nel protagonista della Scomparsa di me, sarebbe impossibile il contrario. Anche l’idea stessa del libro mi è arrivata dopo che io stesso ho avuto un piccolo incidente. Io mi sono rotto solo una mano, mentre il mio protagonista, cadendo di moto nel traffico urbano, muore. Quando si ha un incidente è facile pensare a cosa sarebbe potuto accadere se fosse andata peggio. Così una notte sono sobbalzato sul letto, immaginando non solo cosa sarebbe potuto succedere non solo se fossi morto, ma anche se morendo mi fossi reincarnato in tutte le persone che mi hanno conosciuto. È un tema che mi interessa, l’idea che la coscienza possa rimanere nell’aria, penso a opere a me care come L’occhio di Nabokov, l’inizio del film Viale del tramonto, la serie Quantum leaps…»
Adesso che mi dici che tutto è cominciato da un incidente alla mano capisco meglio perché le mani hanno
Cosa accade dopo la morte? Il protagonista de La scomparsa di me di Gianluigi Ricuperati (ed Feltrinelli) lo scopre osservando cosa pensa di lui chi lo ha accompagnato in vita
«Sì, La scomparsa di me include un disegno di Emiliano Ponzi, illustratore del New Yorker, ed è proprio il disegno di due mani. Sono l’ultima cosa che il protagonista vede prima di sbattere sull’asfalto, ma c’è anche un livello simbolico: le mani sono sacre, con le mani si somministrano benedizioni, imponendo le mani un taumaturgo può curare, mettendole in diverse posizioni si formano i mudra, gesti sacri necessari ai rituali o alla magia… Le mani sono la prima cosa che si muove in modo completo in un neonato: sono, nell’agire umano, la prima terminazione della mente».
Nel tuo libro è proprio la figlia piccola del protagonista, Ada, la sua ossessione. Perduto nella ruota delle reincarnazioni, la sua speranza è quella di entrare nella sua coscienza o almeno in quella di qualcuno a lei vicino. Invece finisce, in modo quasi punitivo, nelle coscienze di gente conosciuta per un attimo o addirittura in quella del da lui poco stimato fidanzato della moglie.
«Forse c’è una possibile lettura cattolica, una sorta di espiazione, in questo proces- so, ma non ho mai creduto nella famosa frase di Sartre ‘l’inferno sono gli altri’: penso piuttosto che gli altri siano il paradiso, al massimo il purgatorio, che non a caso è il più realistico e umano dei tre momenti danteschi. Sicuramente, partito dall’idea generale, ho sentito il bisogno di dare un obiettivo, anzi una quest, per mutuare un termine tipico dei giochi di ruolo, al mio protagonista, e quindi mi sono ispirato alla mia vita reale, in cui il ruolo di padre è molto importante. Tra l’altro mi pare che la letteratura italiana, oggi, lavori molto sul rapporto dei figli coi padri, ma meno sul rapporto inverso».
Il tuo libro ha caratteristiche che potremmo definire sperimentali, i molti salti spaziali, temporali e di coscienza, i capitoli marcati Protagonista Gianluigi Ricuperati, 40 anni torinese è autore de «La scomparsa di me» (Feltrinelli) con un «?» invece che con i numeri, un costante effetto di straniamento, le succitate immagini di Ponzi: più volte mi ha ricordato un’installazione di arte contemporanea, campo in cui sei di casa.
«Ho relazioni intellettuali con molti artisti e credo che questo mi influenzi positivamente. Mi interessa moltissimo il modo in cui l’arte concettuale ha lavorato su opere completamente immateriali, fatte soltanto, o quasi soltanto, di idee. Quanta libertà nell’idea di liberazione dall’oggetto, dal materiale! Ogni mondo ha le sue storture, non vengo a dire che quello dell’arte è perfetto, ma certo ha una libertà che quello letterario non ha, schiacciato com’è da miti di matrice ottocentesca».
A Firenze mi pare che anche il campo artistico, e quello culturale in generale siano schiacciati dal passato, mentre a Torino avete saputo reinventarvi in modo efficace.
«Dico sempre che il tradimento può essere una forma di rispetto quando nasce da una grande e lunga conoscenza e seduzione. Mi terrorizza un’idea di cultura in cui tutto è soltanto conservazione, bisogna anche vivificare. Mi pare che a Firenze in parte ci siano tentativi di farlo, la vostra città è un crogiolo dal grande potenziale, nella possibilità che ha di far incrociare moda, arte, letteratura. Il problema è che nel mercato globale una città come Firenze viene identificata con un tipo di moneta per così dire ‘storica’ ed è molto difficile cambiare questa percezione; inoltre il turismo di massa può sembrare utile sul breve, col suo indotto immediato, ma sul lungo termine rischia sempre di impoverire il luogo in cui passa, oltre che confermare l’idea preconcetta che c’è del luogo in questione. Una cosa importante, che in Italia facciamo troppo poco, è importare talenti. Residenze per artisti e scrittori, certo, ma anche strutture che attirino di per sé, grazie a quello che fanno, persone di valore da altre città. Sono e sarò sempre nemico dell’endogamia».
Chiavi di lettura La letteratura italiana oggi lavora poco sul rapporto figli-padri, meno sull’inverso